“Quella scena è stata un pugno nello stomaco. Vedere il presidente turco Erdogan e il presidente del Consiglio europeo Michel seduti, e Ursula von der Leyen, una donna con pari responsabilità, che rimane in piedi. In questi 23 anni ne ho viste di tutti i colori, ma così davvero mai”. A parlare a TPI è Marco Minniti, ministro dell’Interno nel governo Gentiloni tra il 2016 e il 2018 ed esponente del Pd, che alcuni mesi fa ha lasciato lo scranno a Montecitorio per andare alla guida della fondazione Med-Or, legata al gruppo Leonardo.
Minniti parla all’indomani della visita istituzionale del presidente del Consiglio Mario Draghi a Tripoli, dove si è tenuto l’incontro col nuovo primo ministro libico Dbeibeh. In quelle stesse ore, una delegazione composta dal presidente del Consiglio europeo e dalla presidente della Commissione Ue era ad Ankara, a discutere con i turchi un’eventuale terza tranche del trattato di cooperazione nel campo dei flussi migratori per la rotta orientale (l’Europa ha già versato 6 miliardi di euro ai turchi). “L’incidente con von der Leyen ha urtato sinceramente la mia suscettibilità”.
Minniti, ci spieghi, cosa è accaduto secondo lei ad Ankara? È stata una questione di cerimoniale o si è trattato di un gesto volontario?
Considerarla una questione di cerimoniale mi sembra troppo banale.
Allora è stato intenzionale?
Queste figure che si ritengono particolarmente forti, anche perché le loro democrazie si possono definire eufemisticamente non compiute, hanno un approccio fortemente simbolico nei rapporti. L’hanno lasciata in piedi perché, prima di tutto, si discute tra uomini.
C’è un maschilismo di fondo.
Sì, tutto ciò è implicito.
Lei l’avrebbe fatta sedere al suo fianco.
Per mio stile personale, avrei preferito restare in piedi io.
Ma di chi è la responsabilità? Dei turchi?
Secondo me è stato un segnale: come sa la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Era un modo per manifestare icasticamente tutto ciò, anche perché invece la von der Leyen è andata là per sostenere che la Turchia doveva rientrare.
La Turchia in Ue è un’idea ormai tramontata?
È fuori questione, non è più nemmeno nei suoi interessi. La mia linea è non demonizzare, non sottovalutare, governare. Non bisogna mai considerare nulla perso per sempre, occorre capire l’evoluzione che è avvenuta. Nel giro di pochissimi mesi abbiamo avuto un approccio di cooperazione-competizione tra Turchia e Russia. Formalmente erano in competizione, sia in Siria che in Libia, ma sostanzialmente si sostenevano vicendevolmente. Così l’est è scivolato nel pieno del Mediterraneo.
Nel suo primo viaggio all’estero, in Libia, il premier Draghi ha ringraziato i libici per i salvataggi dei migranti. Cosa ne pensa?
C’è un dato che fa venir meno una certa ipocrisia. Il Memorandum of understanding firmato dall’allora presidente del Consiglio italiano Gentiloni e da al-Serraj, tanto discusso, è tuttavia ancora operativo. E questo nonostante i cambiamenti, anche epocali, che sono avvenuti in Libia. Basti pensare che in questo momento a Tripoli ci sono militari turchi, ci sono presenze aggregate all’esercito turco di componenti turco-siriane di “affinità jihadiste” e dall’altra parte ci sono i russi. Un cambiamento che nessuno avrebbe potuto immaginare fino a un paio di anni fa. C’è stato quindi un riconoscimento di un ruolo.
Ma è giusto riconoscere questo merito ai libici, con tutto ciò che è emerso in questi anni sui guardiacoste eccetera?
Mi lasci finire il ragionamento. Io non sono Draghi, ma presumo che questo fosse il suo intendimento: dare un quadro di riconoscimento della collaborazione libica, anche sul tema del governo dei flussi migratori. Ma penso, con altrettanta nettezza, che non fosse nell’intento di Draghi sottovalutare tutti i problemi che ci sono in Libia per quanto riguarda il governo dei flussi migratori.
Quindi cosa dovremmo fare secondo lei in Libia?
Penso che l’Italia debba avere il ruolo di apripista in Libia, per un impegno più organico dell’Europa intera, ponendo fine alle divisioni più o meno esplicite che l’Ue ha avuto in questi anni nel Paese. Soprattutto per la sfida che la presenza russo-turca lancia all’intera Europa. L’Europa non può sottrarsi a questa sfida. Se il nuovo primo ministro libico Dbeibeh dovesse fallire – cosa che è altamente probabile – la Libia sarà spartita in due zone di influenza, una russa e una turca. L’Europa non può permetterlo, perché sarebbe uno scacco drammatico per l’Italia e per l’intera Ue.
In concreto?
Così come sta discutendo con la Turchia, l’Europa deve discutere anche con la Libia e con altri Paesi dell’Africa settentrionale, primo tra tutti la Tunisia. Deve presentare un piano di aiuti economici per ricostruire socialmente, economicamente, istituzionalmente e sanitariamente la Libia.
Minniti, dall’entusiasmo delle sue risposte, sembra che abbia voglia di tornare in campo in modo operativo.
No no, ormai ho cambiato mestiere. Posso discuterne, mettere a disposizione la mia esperienza.
Darà una mano a Draghi?
Se mi verrà chiesto lo farò, sono sempre al servizio del mio Paese, qualunque ruolo mi venga chiesto di intraprendere.
Anche un incarico di governo?
Il governo è già stabile, credo sia una missione già compiuta. Pur non essendo più parlamentare, posso dire che gode della mia piena fiducia.
Scusi se insisto, era davvero necessario ringraziare i libici per il salvataggio dei migranti, posto che questi vengono portati nei lager, dove i loro diritti umani vengono sistematicamente violati?
Penso che Draghi volesse dire che la Libia, pur in quadro di scollamento e rottura interna, cerchi di mantenere gli impegni internazionali. Ma penso anche che Draghi sappia che c’è bisogno di un salto di qualità. L’Europa deve contrattare un nuovo patto per la gestione dei flussi migratori, basato su due principi fondamentali. Il primo è promuovere canali d’ingresso legali, stabilizzando i corridoi umanitari, impegnandosi a svuotare tutti i centri libici e concordando un numero di ingressi garantiti direttamente con i Paesi di provenienza. Il secondo sono i rimpatri volontari assistiti.
Voi perché non lo avete fatto?
Io ho cominciato a farlo, con i primi corridoi umanitari.
Se fosse stato al governo altri due anni li avrebbe svuotati tutti?
Avevo già preso un impegno a livello internazionale, di prendere almeno 10mila persone l’anno dalla Libia, con i corridoi umanitari. Tutto questo è possibile e urgente. Perché ci sono già le Nazioni Unite, che lì svolgono un ruolo essenziale dal 2017 con l’Unhcr: possono garantire all’Ue chi ha diritto alla protezione internazionale.
Cambiamo discorso: la questione delle intercettazioni ai giornalisti sulle Ong? Lei era al governo…
Nessuno sapeva delle indagini e delle intercettazioni in corso. Lo abbiamo saputo adesso. Sarebbe stato gravissimo se lo avessimo saputo, perché sarebbe stato violato il segreto istruttorio.
Cosa pensa dei viaggi di Renzi negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita, in Senegal e negli altri Paesi, da senatore?
Personalmente se fossi stato parlamentare li avrei evitati.
Come lei, anche altri ex esponenti dei precedenti governi hanno lasciato la politica per dedicarsi ad altro. La politica sta perdendo appeal?
No. Non parlo a nome degli altri, ma per me è diverso. Ho avuto il primo incarico di governo nel 1998. Sono passati 23 anni. Si può considerare completata un’esperienza. Ho scelto di cambiare approccio e contemporaneamente continuare a dare una mano al Paese.
Conte o Draghi?
Sono molto critico verso il Conte 1. Meno verso il Conte 2. Ma in questo momento della vita della Repubblica un governo che abbia un ampio sostegno parlamentare, che sia guidato da una figura dal profilo europeista e che sia chiaramente collocato dentro una visione democratica dello sviluppo dell’Europa mi sembra una grande garanzia per il nostro Paese.
Alleanza Pd-M5S. Sì o no?
Sono per andare avanti su questa strada, comprendendo che non è semplice. Va fatto ogni tentativo. Il bilancio lo faremo alla fine.
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