Negli ultimi mesi l’attenzione dei media internazionali si è ampiamente concentrata sulla crisi migratoria che sta interessando gli stati europei.
La maggior parte dei migranti sono richiedenti asilo che fuggono dalla guerra in Siria e attraversano il mar Mediterraneo o i Balcani per recarsi in Europa centrale.
In Yemen c’è però un’altra guerra che va avanti da mesi e che ha portato un’inversione di tendenza nei flussi migratori della penisola arabica.
Prima del conflitto tra la coalizione internazionale filo-governativa guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti houthi iniziato a marzo 2015, lo Yemen era un Paese di approdo per migliaia di persone provenienti dall’Africa orientale.
Migranti eritrei, etiopi, somali, di Gibuti e dell’autoproclamato stato indipendente del Somaliland approdavano in Yemen attraversando in barca il golfo di Aden per fuggire da persecuzioni etniche, instabilità politica e povertà estrema.
Lo stato asiatico veniva infatti utilizzato soprattutto come Paese di transizione sulla rotta verso gli stati europei o quelli che si affacciano sul Golfo persico, grazie anche alla sua vicinanza geografica con il cosiddetto Corno d’Africa.
Secondo i dati dell’Unhcr, l’alta commissione per i rifugiati delle Nazioni Unite, prima dell’insurrezione dei ribelli houthi iniziata nel gennaio 2015, in Yemen c’erano circa 246mila rifugiati, 95 per cento dei quali di etnia somala.
La tendenza si è però invertita con l’espandersi del conflitto civile yemenita, durante il quale sarebbero morte circa 4.500 persone.
L’Unhcr ha stimato che sarebbero almeno 100mila i rifugiati scappati dallo Yemen dall’inizio degli scontri armati: in 45mila sono fuggiti verso l’Arabia Saudita e l’Oman, mentre circa 31mila persone hanno attraversato il golfo di Aden per approdare soprattutto in Somaliland e Gibuti.
La situazione è così grave che tra i migranti è compresa una massiccia percentuale di persone che aveva precedentemente lasciato il proprio Paese di origine nel Corno d’Africa.
Il viaggio è lungo e pericoloso, i trafficanti chiedono circa 100 dollari a testa per un viaggio in barca che dura 30 ore. Il governo del Somaliland, a corto di strutture per ricevere e gestire il flusso di migranti, ha chiesto un intervento da parte della comunità internazionale, annunciando di non essere più in grado di gestire ulteriori arrivi.
Il Gibuti è considerato invece uno tra i Paesi politicamente più stabili del Corno d’Africa, anche se la situazione economica è critica e il tasso di disoccupazione interessa circa il 50 per cento della popolazione. Delle circa 21.700 persone che fino a luglio 2015 sono arrivate dallo Yemen al Gibuti, solo il 46 per cento è cittadino yemenita. Un ulteriore 46 per cento è invece formato da persone di altre nazionalità, mentre l’8 per cento è costituito proprio dagli abitanti di Gibuti che avevano precedentemente lasciato il proprio Paese.
Oggi il piccolo stato africano è l’unico tra i governi limitrofi ad accettare i rifugiati yemeniti. L’Unhcr e l’Unicef hanno allestito campi profughi vicino alla capitale in cui vengono distribuiti beni alimentari, acqua potabile e cure mediche. Secondo l’Unicef sono circa 8 milioni i bambini yemeniti che hanno subìto le conseguenze del conflitto.
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