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    I migranti che il sudest asiatico non vuole

    Dopo averli respinti per settimane, l'Indonesia e la Malesia accettano di accogliere 7000 migranti provenienti dalla Birmania

    Di Jessica Cimino
    Pubblicato il 20 Mag. 2015 alle 16:20 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:27

    Dopo essere rimasti alla deriva in mare aperto per settimane, circa 400 migranti sono stati salvati da alcuni pescatori nello Stretto di Malacca, vicino alle coste indonesiane. Erano in maggioranza bengalesi e musulmani di etnia rohingya provenienti dal Myanmar, in fuga da persecuzioni e povertà.

    In base alle loro testimonianze, le barche che li trasportavano sarebbero state allontanate in tre occasioni dalle autorità thailandesi, due volte da quelle malesi. Queste ultime avrebbero minacciato di bombardare le imbarcazioni, qualora si fossero rifiutati di tornare indietro.

    “Cosa vi aspettate da noi?”, ha detto la settimana scorsa il viceministro dell’Interno malesiano, Wan Junaidi Jafaar: “Siamo stati più che solidali con le persone che hanno varcato i nostri confini. Rispettiamo i loro diritti in quanto essere umani, ma non possiamo lasciare che invadano le nostre coste”.

    Ma sotto la crescente pressione internazionale, oggi i governi della Malesia e dell’Indonesia hanno affermato che “offriranno assistenza umanitaria ai 7000 migranti irregolari ancora in mare” e un alloggio temporaneo, a condizione che siano rimpatriati entro un anno.

    Sono circa due mila le persone giunte in Malesia e Indonesia solo nelle ultime settimane. Tra i flussi migratori che interessano l’area del sudest asiatico, è quello della minoranza rohingya a destare le maggiori preoccupazioni della comunità internazionale. I rohingya infatti, sono da tempo vittime di una vera e propria persecuzione in Myanmar. Il fatto che siano di religione musulmana, in un Paese a maggioranza buddista, ha portato all’adozione di politiche discriminatorie nei loro confronti, che comprendono l’arresto arbitrario, la tortura, le esecuzioni sommarie e la confisca dei terreni.

    Dei 3,5 milioni di membri appartenenti alla comunità rohingya, più di 120 mila sono stati costretti negli ultimi tre anni a lasciare il territorio birmano, nella speranza di trovare asilo nelle vicine Thailandia e Malesia. “Se avessi saputo che la traversata in mare si sarebbe rivelata un tale incubo, avrei scelto di morire in Myanmar”, ha raccontato al Washington Post un giovane rifugiato rohingya, che ha perso suo fratello durante il viaggio.

    —Guarda qui le immagini dei migranti rohingya che ricevono le prime cure a Kuala Langsa

    Il continuo rifiuto da parte dei governi dell’area ASEAN di accogliere i rohingya nei rispettivi Paesi, è stato paragonato cinicamente a “una partita di ping pong”: le imbarcazioni con cui tentano la fuga vengono puntualmente respinte dagli Stati confinanti, tanto da essersi guadagnati l’appellativo di “minoranza etnica meno desiderata al mondo”, attribuitogli dalle Nazioni Unite.

    Se un tempo la prima scelta erano gli spostamenti via terra verso la Thailandia, dove ai rohingya veniva garantito l’accesso previo pagamento di un riscatto, ora questa minoranza birmana preferisce migrare utilizzando i canali marittimi.

    Chris Lewa, direttore dell’Arakan Project, un’iniziativa legata al monitoraggio degli spostamenti della comunità rohingya, aveva raccontato ai reporters di Al Jazeera che circa 500 membri del gruppo avevano raggiunto i confini indonesiani nella giornata del 10 maggio, mentre altri 8 mila sarebbero rimasti bloccati nello stretto di Malacca, tra la costa malese e l’sola indonesiana di Sumatra.

    Secondo Lewa, da quando i rohingya hanno iniziato a fuggire dal Myanmar via mare, sarebbero alla mercé dei trafficanti di esseri umani. Privandoli dei beni di prima necessità quali il cibo e l’acqua potabile, quest’ultimi avrebbero compromesso seriamente il loro stato di salute, causando decine di morti solo nello scorso mese.

    A mitigare la condizione della minoranza etnica tuttavia, è stata la recente dichiarazione rilasciata dal governo delle Filippine. In risposta alla richiesta delle Nazioni Unite, che hanno esortato gli Stati a proteggere coloro che cercano asilo o tentano di ottenere lo status di rifugiato, il governo filippino si è detto pronto ad accogliere i migranti rohingya.

    “Chiediamo alle agenzie internazionali competenti di agire legalmente a favore dei migranti in mare”, ha affermato un alleato politico vicino al Presidente Benigno Aquino. Tale dichiarazione segue quella del ministro della Giustizia filippino Leila de Lima, la quale ha ribadito l’obbligo del Paese di proteggere i richiedenti asilo, anche nel caso in cui quest’ultimi siano sprovvisti dei documenti necessari per provare il loro status.

    —Guarda qui le immagini dei migranti rohingya che ricevono le prime cure a Kuala Langsa

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