Mentre si prepara ad affrontare uno dei momenti più duri della crisi economica greca, l’isola di Lesbo tenta di contenere un’ondata migratoria senza precedenti.
L’arrivo di natanti carichi di migranti sulle spiagge dell’isola non è una novità, ma dall’inizio del 2015 ha progressivamente assunto una dimensione ingestibile.
Secondo John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per Europa e Asia Centrale, “le due crisi greche, quella migratoria e quella finanziaria, hanno creato una tempesta tale nelle isole dell’Egeo che solo con l’azione congiunta delle autorità greche ed europee potrà essere domata”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nella prima metà del 2015 sono stati 137mila i migranti approdati sulle sponde europee, con un aumento dell’86 per cento rispetto all’anno scorso.
In questo scenario, la rotta del Mediterraneo orientale che passa dalla Turchia alla Grecia ha ormai superato la più rischiosa via del Mediterraneo centrale: nella prima metà del 2015, il numero di arrivi in Grecia è più che raddoppiato, mentre in Italia si è registrata una diminuzione rispetto ai numeri del 2014.
La posizione geografica di Lesbo la rende una meta particolarmente conveniente per chi cerca di raggiungere l’Europa. Nel punto più vicino, l’isola dista solamente 13 chilometri dalla Turchia – un’inezia in confronto alla traversata di 300 chilometri che separa Lampedusa dalle coste libiche.
Per meno di 1.400 euro si può essere traghettati su un gommone da Smirne o dalla costa del golfo di Edremit alle spiagge nel nord dell’isola. Si calcola che dei 68mila migranti approdati in Grecia, più della metà abbiano scelto quest’itinerario.
Oggi, secondo le stime, sono in media 400 i rifugiati che ogni giorno sbarcano a Lesbo, dove vivono circa 90mila abitanti. In un’intervista, il sindaco dell’isola di Lesbo Spyros Galinos ha descritto così la situazione: “Ogni giorno è come se un nuovo piccolo paesino nascesse”. “Se il flusso non si arresterà, non ce la faremo,” aggiunge Galinos.
Agli inizi di una stagione turistica già compromessa dalla crisi del debito pubblico, Lesbo è alle prese con una folla stremata che l’accoglienza greca non è in grado di contenere.
Secondo un recente rapporto di Amnesty International, quest’ondata di arrivi sta portando un sistema di accoglienza già inadeguato al punto di rottura.
“Le condizioni nei centri di detenzione sono di molto inferiori agli standard nazionali e internazionali, e potrebbero qualificarsi come trattamenti inumani e degradanti”, precisa lo stesso rapporto.
Arriviamo al campo di Kara Tepe, un centro da poco allestito nel tentativo di arginare il sovraffollamento delle strutture d’accoglienza, mentre avviene la distribuzione dei lasciapassare senza i quali i migranti non possono lasciare l’isola.
Nella confusione che evoca più le vie di un mercato che la freddezza di una formalità burocratica, quattro siriani chiamano a turno i nomi segnati sui “fogli bianchi”.
I fortunati si fanno largo tra la folla e, dopo una rapida visione del documento, compilato interamente in greco, si mettono in marcia verso il porto, nella speranza di potersi imbarcare sul prossimo traghetto diretto ad Atene.
La consegna dei lasciapassare è solo l’ultimo momento di una lunga permanenza sull’isola di Lesbo. Una volta sbarcati sulle spiagge dell’isola, i migranti devono per prima cosa raggiungere le autorità portuali di Mitilene, a 60 chilometri di distanza.
E lo devono fare a piedi, perché una legge da poco abrogata proibiva e puniva chiunque offrisse un passaggio ai cosiddetti “clandestini”.
Alla marcia di due giorni segue l’arresto e l’internamento nel campo di Moria, dove i migranti vengono trattenuti per il tempo necessario a procedere con la loro identificazione.
In attesa che il ministero dell’Interno gli conceda il lasciapassare, i migranti si accampano un po’ dappertutto, ma soprattutto al campo di Kara Tepe. Questo spazio adibito all’accoglienza di 600 persone oggi ne ospita 2.000, in condizioni di vita intollerabili.
Nell’intero campo ci sono circa sei bagni funzionati e nessuna doccia: i rifugiati si lavano a turno con una pompa dell’acqua. Le razioni di cibo, distribuite grazie ai contributi dei volontari dell’isola, sono di scarsa qualità e spesso insufficienti, e le liti per un pezzo di pane sono all’ordine del giorno.
Normalmente, dopo pochi giorni, i migranti ottengono il lasciapassare e s’imbarcano per Atene. Ma le autorità, messe alle strette dalla grave carenza di risorse umane e finanziarie, spesso non sono in grado di garantire il corretto tempismo di questa procedura.
La lentezza nel consegnare i lasciapassare è una delle cause principali del cronico sovraffollamento dei campi greci.
In questi giorni, come tutta la Grecia, Lesbo sta affrontando una delle fasi più dure della crisi finanziaria che da anni erode l’economia del Paese.
Sembra quantomai improbabile che lo stato greco riesca a trovare i fondi per ristrutturare il proprio sistema di accoglienza, destinato a degenerare ulteriormente con l’aumento degli arrivi.
“Servono fondi europei”, mi spiega Ghiorgos Pallis, consigliere comunale di Lesbo. “Senza l’aiuto dell’Unione europea non possiamo andare avanti”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it