Abdul Sattar Makandar è un emigrato indiano di 35 anni, padre di due figli. Da quasi due anni lavora in Arabia Saudita e per tutto questo tempo non ha potuto far visita ai suoi familiari in India. Da cinque mesi ha inoltrato la sua richiesta di permesso all’azienda per cui lavora, ma finora non ha ricevuto alcuna risposta.
L’uomo ha così avuto l’idea di lanciare un accorato appello girando un breve video dove ha denunciato in lacrime le sue condizioni di lavoro in Arabia Saudita.
Il video è stato poi inviato a un attivista indiano per i diritti umani, Kundan Srivastava, che lo ha pubblicato sul canale YouTube ed è stato ampiamente condiviso in India.
(Qui sotto la testimonianza dell’uomo)
Makandar da 23 mesi si trova per motivi lavoro nel Regno e da cinque mesi è in attesa di ottenere il permesso da parte dell’azienda per far ritorno in patria.“Il mio datore di lavoro non mi lascia andare a casa. Da lungo tempo non ricevo un salario adeguato e non ho nemmeno i soldi per mangiare. Aiutatemi”, ha raccontato l’uomo in lacrime.
L’indiano ha pagato cara l’iniziativa di girare e diffondere questo breve filmato. Secondo quanto riferito dagli attivisti indiani, Makandar è stato arrestato con l’accusa di aver violato la legge saudita, che vieta la “diffusione di materiale disinformativo” sui social media.
Anche l’azienda per cui l’uomo lavorava come autotrasportatore – Al Suroor United Group – ha smentito le accuse sostenendo attraverso i suoi legali che tutti i dipendenti hanno pieno diritto di congedo. Lo stesso ha fatto l’agenzia interinale che aveva assunto Makandar, la Discomb Gulf Travel, declinando ogni responsabilità.
Lavoratori prigionieri in Arabia Saudita
La vicenda di Sattar Makandar non è un episodio isolato. Le condizioni dei lavoratori stranieri in Arabia Saudita sono state spesso al centro di critiche e denunce da parte dei gruppi in difesa dei diritti umani. Si è parlato di frequenti e ripetuti maltrattamenti, di trattenute sui salari e delle condizioni di povertà in cui si trovano spesso i lavoratori.
Nel mese di ottobre 2015, Kasturi Munirathinam, che lavora come cameriera era stata ferita gravemente al braccio dal suo datore di lavoro saudita.
I lavoratori stranieri in Arabia Saudita, in prevalenza indiani, nepalesi o pakistani, sono spesso soggetti al sistema di controllo “kafala”, che limita gravemente i loro diritti, poiché concede eccessivo potere ai datori di lavoro che possono controllare i propri lavoratori, facilitando così gli abusi.
In base a questo sistema, i lavoratori stranieri non godono di libertà ed è molto difficile cambiare lavoro o lasciare il paese, senza un permesso scritto dei loro datori di lavoro.
“Nella maggior parte dei casi, i lavoratori migranti hanno paura a parlare a causa di rappresaglie da parte dei datori di lavoro, come ad esempio il rifiuto di dare un permesso di uscita, di non pagare gli stipendi o annullare i permessi di soggiorno”, ha denunciato James Lynch, vice direttore per il Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International.
Nell’ottobre del 2015 sono state introdotte delle modifiche all’impianto normativo che regolamenta il flusso di lavoratori stranieri entro i confini sauditi, obbligando le aziende e alle imprese di rispettare degli standard più equi.