Mexico Mañana
L’incontro dello scorso martedì fra Barack Obama e il presidente del Messico Enrique Peña Nieto, insediatosi sabato 1° dicembre, potrebbe a prima vista sembrare il reiterarsi di una lunga consuetudine di buon vicinato. Tuttavia, questa volta la conversazione potrebbe aver avuto un significato che va oltre la semplice cortesia istituzionale. Negli ultimi anni, Messico è diventato sinonimo di violenza: la guerra della droga, che conta più di 60 mila vittime, con il suo corredo di decapitazioni, sparatorie e ‘body dump’ (l’uso dei cadaveri nemici per marcare il territorio), ha monopolizzato l’attenzione dell’America e del mondo, relegando nell’ombra l'”altro Messico“. Quello che non spara, ma cresce a ritmi da capogiro, nonostante la corruzione e la violenza.
Il Paese di cui Peña Nieto ha preso le redini è la 13esima economia mondiale per prodotto interno lordo, nonché il detentore di ingenti risorse petrolifere e della quarta riserva mondiale di gas da argille. Anche il settore industriale, rinvigorito dalle politiche liberiste dell’ex presidente Felipe Calderón, è fiorente: basti pensare che in sei anni il Messico ha scalato la classifica dei Paesi esportatori di automobili passando dal nono al quarto posto. Oltre la frontiera, quindi, non ci sono solo narcos, e Obama lo sa bene. Il volume dei rapporti commerciali fra Messico e Stati Uniti (500 miliardi di dollari all’anno) è secondo soltanto a quello degli scambi fra Usa e Canada, e pressoché uguale a quello degli scambi con la Cina. Certo, Pechino continua a essere il maggior esportatore verso Washington, ma i rincari del petrolio e il progressivo incremento dei salari cinesi potrebbero cambiare le cose. Per scongiurare un aumento dei prezzi, infatti, non è da escludere che l’America decida di aumentare drasticamente le importazioni dal più vicino e meno costoso Messico. Secondo l’Economist, in un futuro non troppo lontano, il classico ‘Made in China’ potrebbe lasciare il passo a ‘Hecho en Mexico’.
Ma l’importanza del Messico va al di là dell’economia. Le ultime elezioni hanno dimostrato a chi ancora non se n’era accorto che nessun presidente americano verrà eletto senza il voto dei cosiddetti ‘latinos’, il 60 per cento dei quali sono messicani. La comunità messicana negli Usa costituisce più del 10 per cento della popolazione totale. La retorica anti-immigrazione che ha caratterizzato la destra americana dovrà per forza essere abbandonata, sia per motivi pratici (i rigidissimi controlli alla frontiera con il Messico costituiscono un indubbio ostacolo al commercio), sia per pura convenienza elettorale. Una riforma dell’immigrazione è quindi il primo tema su cui Obama e Peña Nieto dovranno cominciare a lavorare insieme. L’altro è, prevedibilmente, quello della lotta alla violenza e al narcotraffico. Gli ultimi mesi lasciano ben sperare su questo fronte: Heriberto ‘El Lazca’ Lazcano, leader del cartello dei Los Zetas, è stato ucciso, mentre altri uomini chiave del narcotraffico sono stati arrestati. In generale il tasso di omicidi nelle città messicane è diminuito notevolmente. Tuttavia, come sottolineato dall’ex presidente Calderón, nulla potrà essere davvero risolto senza l’aiuto di Washington. Gli Stati Uniti sono il principale mercato della droga proveniente dal Messico, nonché il maggiore fornitore delle armi che vengono utilizzate dai criminali messicani (il ricordo va all’operazione Fast and Furious, con cui le autorità americane hanno inondato il Messico di fucili nel vano tentativo di seguirne le tracce fino ai narcos).
Ogni progresso, su ogni fronte, dipenderà dalla capacità di Enrique Peña Nieto di essere un vero agente di cambiamento. Il presidente è giovane ma è membro di un partito, il Pri (Partido Revolucionario Institucional), che viene da una storia di autoritarismo e che ha fatto dell’immobilismo e del perpetuo controllo dei gangli vitali del Paese la sua cifra stilistica. Questo sistema clientelare è inviso a larghi settori della società civile messicana, rappresentati dal movimento studentesco #YoSoy132, che ha ribattezzato ‘imposiciòn’ l’elezione di Peña Nieto, denunciandola fra l’altro come frutto d’irregolarità. Dal settore petrolifero (gestito dall’inefficiente compagnia Pemex) ai sindacati, fino all’esercito e ai media, insomma, la battaglia di Nieto sarà soprattutto contro il suo stesso partito.