I mercati degli animali in Cina sono stati probabilmente uno dei luoghi veicolo del Coronavirus. In teoria, il commercio e il consumo di carni esotiche è già vietato da febbraio, ma la vendita continua in Asia. E’ per questo che il governo ha pensato ad una soluzione alternativa: garantire un risarcimento in denaro a chi chiude bottega. Così il cobra viene pagato 15 euro al chilo. Gli istrici 81 euro l’uno, gli zibetti 77, il cervo 316, i porcellini d’India 3 euro al chilo.
Venerdì scorso la provincia dello Hunan, subito a Sud del focolaio dello Hubei, è stata la prima a compilare un prezzario di rimborsi offerti agli allevatori che si liberano della fauna proibita, assegnando a 14 specie con penne, peli o squame un valore sulla base dei costi necessari a farle crescere. Pure il vicino Jiangxi promette incentivi. Anche durante l’epidemia di Sars del 2002 l’allevamento e la vendita di animali selvatici erano stati bloccati, salvo poi riprendere a emergenza passata. Dopo la tragedia del Coronavirus, la pressione interna e internazionale su Pechino per dare un taglio definitivo a un’attività rischiosa per la salute pubblica è ancora più forte. La sessione annuale del Parlamento che si apre questo fine settimana dovrebbe emendare la legge di protezione delle specie selvatiche, rendendo il bando perenne. Ma altrettanto pressante per Xi Jinping e il Partito comunista è l’urgenza di sostenere gli abitanti delle campagne, visto che questo è l’anno in cui hanno promesso di sollevare anche l’ultimo cinese sopra la soglia della povertà.
Dopo lo stop al commercio, dalle province dell’impero si erano sollevate voci di protesta, allevatori con regolare licenza che lamentavano di aver perso decine di migliaia di euro. Il menù di compensazioni è un tentativo di placare il loro scontento, e un ulteriore indizio che questa volta la Cina fa sul serio. Il problema degli incentivi stanziati dallo Hubei è che si applicano solo agli allevatori regolari, con licenza. E quelli in nero sono moltissimi.
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