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    L’attivista saudita amica di Meghan Markle condannata a 20 anni per aver difeso i diritti delle donne nel suo paese

    Loujain al-Hathloul per anni si è battuta contro il divieto di guida in Arabia Saudita ma è stata arrestata pochi giorni prima della caduta dello stesso. Da allora non si hanno più sue notizie e molte associazioni e attivisti chiedono l'intervento della duchessa di Sussex

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 1 Ago. 2018 alle 10:49 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:24

    Loujain al-Hathloul è stata prelevata dalla sua abitazione la sera del 15 maggio, da allora non si hanno notizie della giovane attivista 29enne che si è battuta per i diritti delle donne in Arabia Saudita.

    Il suo arresto fa parte di una brutale repressione avvenuta in Arabia Saudita proprio a ridosso della caduta del divieto di guida per le donne. Divieto contro il quale l’attivista saudita si è battuta con tutte le sue energie e caduto il 24 giugno scorso.

    L’Arabia Saudita era l’ultimo paese al mondo a non riconoscere ancora il diritto di guidare alle donne, che finora dovevano fare affidamento su mariti, fratelli o autisti.

    La storica svolta era stata annunciata lo scorso settembre nell’ambito del grande programma di riforme sociali e economiche promosso dal principe ereditario Mohammed bin Salman per modernizzare il Regno saudita, che è fra i Paesi islamici più conservatori e rigidi al mondo.

    La caduta del divieto è passata però attraverso le dure proteste di numerose attiviste che negli anni si sono battute per vedersi riconoscere questo diritto.

    Nonostante l’apparente apertura del principe Mohammed bin Salman, alcune di loro hanno pagato con il carcere le loro azioni di protesta.

    Infatti, proprio le principali protagoniste della campagna contro il divieto di guida – come Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef – sono tra le otto persone finite in carcere a causa del loro impegno in favore dei diritti umani.

    Alcune di loro sono agli arresti da oltre due mesi e rischiano un processo di fronte al tribunale antiterrorismo e una pena detentiva fino a 20 anni o, addirittura la pena di morte per tradimento.

    L’arresto di Al-Hathloul è arrivato due anni dopo aver partecipato a un summit umanitario di One Young World con Meghan Markle, Emma Watson, Cher e il primo ministro canadese, Justin Trudeau.

    In una foto la duchessa di Sussex Meghan Markle compare in posa con Al-Hathloul, la poetessa Fatima Bhutto e l’ex presidente dell’Irlanda, Mary Robinson.

    Scrivendo sul summit all’epoca Meghan diceva: “One Young World invita giovani adulti di tutto il mondo che stanno attivamente lavorando per trasformare il paesaggio socio-politico in un bene superiore”.

    “Sono delegati che si schierano contro le violazioni dei diritti umani, le crisi ambientali, le questioni di parità di genere, la discriminazione e l’ingiustizia. Sono il cambiamento2. Sono in molti ora a chiedere un suo intervento per chiedere la scarcerazione della giovane attivista.

    A marzo, al-Hathloul, ex studentessa della University of British Columbia, che ha 316mila follower su Twitter, era stata fermata dalla polizia mentre guidava nei pressi dell’università di Abu Dhabi. Costretta a fare ritorno in Arabia Saudita, le era stato vietato di lasciare il paese o usare i social media.

    Nonostante non abbia pubblicato più messaggi su Twitter, due mesi dopo è scattato l’arresto.

    Le imprese dell’attivista

    Il 30 novembre 2014, Loujain al-Hathloul aveva provato a entrare, alla guida di un’automobile, dalla frontiera degli Emirati Arabi Uniti. Per aver sfidato il divieto di guida per le donne, aveva trascorso 73 giorni in carcere.

    Nel novembre 2015 si era candidata alle elezioni, nella prima occasione in cui la monarchia saudita aveva concesso alle donne l’elettorato attivo e passivo. Nonostante la sua candidatura fosse stata ufficialmente ammessa, il suo nome non era mai stato aggiunto alle liste.

    Un attivista per i diritti delle donne che una volta ha posato con la Duchessa del Sussex per un servizio fotografico di Vanity Fair rischia 20 anni di carcere dopo aver confessato di aver cospirato con i nemici dell’Arabia Saudita.

    Da anni, le attiviste per i diritti delle donne chiedono il diritto di poter guidare e la fine del sistema repressivo del tutore.

    Sulla base di questo sistema, le ragazze e le donne subiscono una sistematica discriminazione, tanto per legge quanto per prassi. Non possono viaggiare, lavorare, accedere all’istruzione superiore o sposarsi senza il consenso di un tutore di sesso maschile. Coloro che sposano cittadini stranieri non possono trasmettere la loro nazionalità ai figli, a differenza di quanto accade agli uomini sauditi.

    L’ultimo giro di vite nei confronti di coloro che difendono i diritti delle donne è iniziato proprio durante la campagna internazionale di pubbliche relazioni che intendeva presentare il principe della corona come un autentico riformatore.

    Il 19 maggio le autorità saudite e la stampa governativa hanno lanciato una campagna diffamatoria a mezzo stampa per screditare come “traditori” e “traditrici” cinque persone impegnate nella difesa dei diritti delle donne, accusate di aver formato una “cellula” allo scopo di minacciare la sicurezza dello stato mediante “contatti con entità straniere destinati a compromettere la stabilità e il tessuto sociale” della monarchia saudita.

    La storia delle proteste

    Negli anni Novanta circa 40 donne salirono a bordo delle loro automobili e percorsero alla guida una delle strade principali della capitale Riad. Vennero fermate dalla polizia e sospese dal lavoro.

    Nel 2007 venne lanciata una campagna di lettere al defunto re Abdullah. L’anno successivo Wajeha al-Huwaider filmò se stressa alla guida e pubblicò il filmato su YouTube l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne. Altre donne fecero lo stesso nel 2011: alcune vennero arrestate, una fu condannata a 10 anni, altre furono costrette a firmare un documento nel quale promettevano di desistere da ulteriori proteste.

    Nell’ottobre 2013 la campagna riprese slancio. Il sito venne hackerato e alcune attiviste ricevettero minacce. Ciò nonostante, decine di donne pubblicarono in rete filmati e fotografie in cui erano riprese mentre guidavano. Seguirono numerosi arresti, molti dei quali per brevi periodi di tempo.

    Dopo l’annuncio, nel settembre 2017, della fine del divieto a partire dal 24 giugno 2018, molte protagoniste della campagna hanno ricevuto telefonate in cui venivano ammonite a non commentare pubblicamente la novità.

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