Il Mediterraneo sprofonda nel caos: dal conflitto arabo-israeliano, alle ondate migratorie, al crollo dei confini marittimi che ognuno rivendica a proprio vantaggio. Questi tre aspetti sono strettamente legati dal mancato rispetto della legalità e della giustizia internazionale. È una partita strategica perché in gioco c’è l’alternativa tra la guerra e la pace.
Il conflitto tra israeliani e palestinesi è determinato da un’occupazione militare che dopo decenni non ha portato a maggiore sicurezza per i cittadini ebrei ma li ha esposti ancora di più al pericolo. I palestinesi, anche per mancanza di una leadership credibile, sono stati abbandonati al loro destino e i loro diritti continuamente violati dalle leggi e dalle pratiche israeliane di confisca di case e territori. Su entrambi i fronti in questi anni hanno prevalso i movimenti estremisti e leader senza scrupoli: Netanyahu oggi rimane in sella grazie a questa nuova guerra e Abu Mazen ne ha approfittato per rinviare le elezioni palestinesi.
Al cuore della questione c’è la mancata realizzazione di uno stato palestinese: si è voluto liquidare il principio dei “due popoli e due stati” facendolo sembrare obsoleto e non praticabile. La conseguenza di questo atteggiamento è stato che le due parti non si siedono più a un tavolo e lasciano parlare la violenza. Si è detto che ormai il conflitto tra israeliani e palestinesi non è più centrale in Medio Oriente: forse dobbiamo ricrederci perché invece costituisce ancora oggi il fattore di giustizia irrisolta più imbarazzante in mezzo al Mediterraneo.
Hanno quindi avuto buon gioco la Turchia di Erdogan e l’Iran per ergersi a paladini dei diritti degli arabi: gli stati della regione hanno voltato la testa dall’altra parte, Europa compresa. Una grande responsabilità la portano gli Stati Uniti di Trump che nel 2018 hanno certificato Gerusalemme capitale dello stato ebraico trasferendo l’ambasciata da Tel Aviv: questo è avvenuto in spregio a tutte le risoluzioni dell’Onu e alle regole del diritto internazionale.
Erdogan adesso fa politica, intreccia relazioni, accusa tutti di essere spettatori muti del disastro. Ma sono stati gli Usa e l’Europa che gli hanno concesso tutto questo spazio di manovra. Con la loro indifferenza o come nel caso degli Stati Uniti prendendo decisioni che come si vede oggi hanno effetti devastanti sulla vita delle persone. Biden non può tacere o fare finta di nulla: ha ereditato da Trump questa situazione e se non se ne occupa rischia di far scomparire quel che rimane del residuo prestigio dell’Occidente. Glielo chiedono gli stessi membri democratici del Congresso.
Non può seriamente occuparsi di contenere la Cina o la Russia se non affronta i disastri che gli stessi americani hanno creato. Basti pensare alla Libia che Washington nel 2011 ha bombardato insieme a Francia e Gran Bretagna, per non parlare della guerra in Iraq del 2003, che è all’origine di ogni destabilizzazione attuale, o dell’Afghanistan che dopo 20 anni gli Usa stanno per regalare ai talebani.
Se l’Occidente non riprende l’iniziativa per un reale processo negoziale tra arabi e israeliani questo Mediterraneo crollerà nel caos e lo spazio diplomatico ma anche geografico e geopolitico verrà occupato da altri. Per stessa ammissione della diplomazia italiana i confini marittimi nel Mediterraneo sono crollati. I segnali sono evidenti: nessuno più rispetta i confini marittimi – le famose 12 miglia – e le acque internazionali ma si tracciano continuamente nuove linee che estendono le frontiere sul mare, le zone economiche “esclusive” e che portano ogni giorno all’aumento dei contenziosi e degli episodi violenti.
Si scivola progressivamente verso uno stato di guerra, tanto è vero che in mare incrociano sempre di più le flotte militari. Altro che pesca al gambero rosso: ci sono in gioco interessi enormi come il gas offshore. La Turchia rivendica acque territoriali sempre più estese, lo stesso fa la Libia sotto il protettorato di Erdogan, la Grecia, l’Egitto, oppure l’Algeria, che pretende di arrivare fino a Oristano. La questione migranti fa parte del nuovo conflitto nel Mediterraneo che affonda le sue radici nella destabilizzazione africana ma adesso ha assunto un aspetto che non è più soltanto umanitario ed economico.
Si tratta delle manovre che vengono fatte usando la “bomba umana” dei migranti. La Libia è un caso emblematico: a trattare la questione con i libici è stata lasciata l’Italia da sola, che per altro con la caduta di Gheddafi nel 2011 ha subito la sua maggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale.
Che un Paese ripetutamente sconfitto come l’Italia possa ottenere qualche cosa dai libici – in Tripolitania sono sotto occupazione militare di Erdogan – appare quanto meno ridicolo. E sembra ancora più ridicolo alla luce della constatazione che fanno sulla Sponda Sud. Guardate l’Italia: ha 12mila soldati Usa, 64 basi militari americane che gestiscono un arsenale con 120 testate atomiche e non riesce a tenere a bada neppure le motovedette libiche gli stessi italiani hanno donato a Tripoli. Ridono di noi ma anche degli Usa, della Gran Bretagna, i vincitori della seconda guerra mondiale che nel 2019 non hanno saputo e voluto sconfiggere il generale Khalifa Haftar lasciando che fosse Erdogan a prendersi la Tripolitania.
E che Erdogan sia un membro della Nato non è consolatorio: lui è l’unico che grida contro Israele, quello che occupa parte della Libia, che si oppone alla Russia in Siria, Caucaso e sul fronte libico. Lo fa naturalmente a suo vantaggio e si permette, quando gli fa comodo, di accordarsi anche con Putin. Inutile lamentarsi e chiamarlo come fa Draghi un “dittatore che ci fa comodo”. Ci prenderà per la gola alla prima occasione. Speriamo di “pagare” la pace versando soldi ai turchi o ai libici perché si tengano i profughi: un’illusione che la storia ha già condannato mille volte.
Leggi anche: 1.Gaza brucia ancora, pioggia di bombe nella notte: “Muoiono anche i bambini” /2. Conflitto tra Israele e Hamas, Unicef: “Sono i bambini di Gaza a pagare il prezzo più alto: 9 morti e 43 feriti” / 3. “Una nuova catastrofe”: com’è iniziato il peggior conflitto degli ultimi anni tra Israele e Gaza