Dodici foto, una per ciascun mese dell’anno, raccontano il 2017 di Medici Senza Frontiere (MSF). Gli scatti sono presi da alcune delle emergenze in cui l’organizzazione è stata in prima linea per portare assistenza medica a popolazioni colpite da conflitti, epidemie, catastrofi naturali. Spesso in condizioni e contesti estremi.
Per MSF il “meglio” del 2017 sono tutti i bambini vaccinati, le gravidanze portate a termine, le epidemie contrastate negli angoli più remoti del pianeta. Il “peggio” sono i tremendi effetti dei conflitti armati sulle persone, le vittime del mancato accesso alle cure, le sofferenze e le morti in Libia e alle porte dell’Europa.
I fotografi di MSF hanno accompagnato ogni passo di questa azione per testimoniare le storie accadute nell’anno trascorso, il lavoro delle équipe di MSF per salvare vite, le sofferenze delle persone incontrate in 70 paesi del mondo. Attraverso i loro scatti, MSF rende omaggio a tutti coloro che hanno lottato per la vita, a chi ce l’ha fatta, a chi purtroppo non c’è più.
La guerra a Mosul sembrava aver separato per sempre i due fratelli nella foto. Ma dopo due anni si sono riabbracciati nel centro traumatologico di MSF, dove la figlia della donna è stata curata per ferite subite a causa del conflitto.
Dal 2014, 5,3 milioni di iracheni sono stati costretti a lasciare le proprie case per cercare riparo dai combattimenti. Sono ancora moltissime le persone che non hanno un posto dove tornare e che non potrebbero comunque sostenersi senza l’assistenza che ricevono nei campi profughi. E la vita non è facile nemmeno per le 2,2 milioni di persone che sono riuscite a rientrare nelle loro case, poiché l’accesso all’acqua potabile, all’elettricità e alle cure mediche resta ancora limitato. Le cicatrici psicologiche della guerra sono immense ed è per questo che la salute mentale è una componente chiave di molti progetti MSF.
Nella regione del lago Ciad è in corso una delle più gravi crisi umanitarie del continente africano. Per questo MSF sta significativamente aumentando le attività di assistenza medico-umanitaria alla popolazione. Nella foto il dottor Henryk Mazurek, ginecologo e ostetrico MSF, effettua un’ecografia su una paziente che sta per dare alla luce due gemelli, all’ospedale di Bol.
L’intera area sta vivendo una fase di alta tensione a causa di ripetuti attacchi del gruppo di Boko Haram e della risposta militare lanciata per frenare la violenza. Il conflitto, nato in Nigeria, si è esteso attraverso i confini di Camerun, Ciad e Niger, causando sofferenza e sfollamenti di massa in tutta la regione. La violenza indiscriminata perpetrata dai gruppi armati di entrambe le fazioni ha conseguenze dirette per una popolazione civile già vulnerabile. Questa zona, infatti, era già colpita da povertà, insicurezza alimentare, ricorrenti epidemie. Il sistema sanitario è pressoché inesistente e le persone hanno bisogno dell’essenziale per sopravvivere, cibo, acqua, ripari e assistenza medica.
Spogliati di qualsiasi dignità umana, vessati e senza accesso a cure e assistenza. È la condizione in cui vivono richiedenti asilo e migranti in Libia, prigionieri di una detenzione arbitraria. Come questo gruppo di donne che vivono accalcate nel centro di detenzione di Sorman, a circa 60 chilometri da Tripoli, per settimane o addirittura mesi, senza alcuna certezza per il futuro.
Durante l’anno le équipe di MSF hanno lavorato in diversi centri di detenzione in Libia per offrire assistenza medica alle persone che vi sono trattenute nel loro disperato viaggio verso la sicurezza. I centri sono sovraffollati, lo spazio a disposizione è estremamente limitato, manca l’aria, la scarsità di cibo ha portato a casi di malnutrizione anche tra gli adulti. I medici trattano problemi causati o aggravati dalle condizioni di vita all’interno dei centri, ma anche l’assistenza che MSF è in grado di fornire è purtroppo limitata.
Piange il cugino l’uomo nella foto, ritratto di fronte alla tomba del suo familiare, caduto in un combattimento. La guerra in Siria ha provocato la peggiore catastrofe umanitaria al mondo e non è finita. Oltre 5 milioni di persone sono fuggite dal paese, oltre 6 milioni sono rimasti ma vivono da sfollati interni, 3 milioni vivono ancora nelle aree assediate.
Le strutture sanitarie sono state bersagli di attacchi sistematici (95 strutture supportate da MSF sono state colpite dal 2015) e almeno 15.000 medici sono fuggiti dal paese, quasi la metà di quelli che erano presenti in Siria prima del conflitto. Le persone muoiono di malattie croniche e in diverse aree della Siria la maggior parte dei bambini non è stata vaccinata ed è a rischio per malattie come morbillo, rosolia, tetano o polmonite. Nei giorni scorsi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato la risoluzione 2165 (oggi 2393) che consente di utilizzare le vie d’accesso transfrontaliere per portare aiuti. Ma anche così, le organizzazioni umanitarie faticano ogni giorno a fornire assistenza a oltre 13 milioni di siriani che hanno ancora bisogno di aiuto.
Nella clinica di MSF a Garin Wazam, in Niger, si svolgono ogni giorno sessioni per la salute mentale. I pazienti sono le migliaia di persone che fuggono dalle violenze legate alla presenza di Boko Haram e agli interventi militari per contrastarla. Come la persona nella foto, che porta sul viso i segni dell’indiscriminata violenza in atto nel paese.
In Niger MSF fornisce assistenza medica e psicologica gratuita in diversi centri sanitari e supporta l’erogazione di acqua potabile, la costruzione di latrine e la distribuzione di beni di prima necessità in numerosi villaggi e insediamenti in cui rifugiati, sfollati e persone rientrate nel paese hanno trovato una sistemazione. MSF supporta anche il Ministero della Salute nigerino nell’ospedale di N’guigmi e nel principale centro di salute materno-infantile nella città di Diffa. In entrambi gli ospedali, MSF lavora nelle unità riproduttive e pediatriche e fornisce supporto psicologico.
Lo Yemen è devastato da una guerra dimenticata che conta 3 milioni di sfollati e 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Come il bambino di 7 mesi nella foto, accompagnato dalla madre al centro di salute MSF, perché da giorni vomitava e aveva diarrea e febbre. Il bambino, che da subito è risultato malnutrito, è stato preso in cura e oggi è tornato in buone condizioni.
Dopo due anni di conflitto, lo Yemen è in preda a una gravissima emergenza umanitaria e la guerra sta avendo un impatto diretto anche sul sistema sanitario. Più della metà degli ospedali e centri sanitari non sono più in funzione, ci sono carenze di farmaci e i medici non ricevono stipendio da mesi. Quest’anno è scoppiata la più grande epidemia di colera mai registrata nel paese, che ha colpito circa un milione di persone. Gli sforzi per assistere i pazienti sono ostacolati dalla carenza di farmaci e personale medico, perché senza stipendio molti sono stati costretti a cambiare lavoro per sostenere le loro famiglie.
Da quando è stata dichiarata l’epidemia di colera in Repubblica Democratica del Congo, il 9 settembre, MSF ha allestito circa 30 unità e centri di trattamento e ha trattato oltre 22.000 persone, quasi la metà di tutti i casi di colera nel paese. Tra loro c’è anche questo bambino, visitato da un’infermiera di MSF nel centro di trattamento specializzato di Katana.
L’epidemia, una delle più virulente degli ultimi anni, è insorta a giugno nella provincia del Nord Kivu e si è diffusa in quasi tutte le province del paese. Sono state colpite decine di migliaia di persone, con centinaia di decessi. Le condizioni climatiche e l’alta mobilità della popolazione in alcune aree hanno causato una rapida diffusione e un forte impatto della malattia. MSF ha portato avanti una risposta ad ampio raggio per coprire le aree più colpite, ma misure preventive come la vaccinazione e l’igienizzazione dell’acqua nelle aree dove il colera è endemico sono fondamentali per evitare epidemie di questa dimensione e prevenirne la diffusione.
Per mesi le équipe di MSF hanno visto fiumi di persone arrivare ogni giorno in Bangladesh in condizioni terribili, traumatizzate dalla violenza e senza aver avuto accesso a cure mediche. Nella foto, rifugiati Rohingya in viaggio verso i campi profughi a Cox’s Bazar cercano un riparo dalle piogge monsoniche in un campo di riso lungo il confine.
Secondo una recente indagine di MSF, dal 25 agosto al 24 settembre sono morti a causa della violenza in Myanmar, nello Stato di Rakhine, almeno 6.700 Rohingya, tra cui 730 bambini al di sotto dei 5 anni. Una spirale di violenza iniziata il 25 agosto che ha causato un enorme sfollamento di massa, tanto che oggi 650.000 rifugiati Rohingya vivono al di là del confine, in Bangladesh, in condizioni del tutto precarie.
Dal momento in cui è arrivato a Cagliari, è iniziata la lunga odissea di M. (il ragazzo nella foto) che lo ha portato dalla Sardegna a Milano, passando per Ventimiglia e Como. Nel tentativo di attraversare il confine con la Francia, M. ha visto morire il suo compagno di viaggio in un tragico incidente. M. è rimasto bloccato a Como, alla frontiera Italia-Svizzera. Come tante altre persone, a cui è stato negato il diritto alla protezione e che hanno dovuto rischiare la propria vita nel tentativo di attraversare i confini europei.
Alle frontiere dell’Italia settentrionale, MSF ha avviato nel 2017 interventi di assistenza e primo supporto psicologico, in collaborazione con le organizzazioni di volontariato locali che hanno offerto ripari e accoglienza a centinaia di persone vulnerabili, tra cui donne sole e minori non accompagnati.
Cinthya*, una paziente di 18 anni e incinta di due mesi, si è rivolta alla clinica di Choloma, la terza città più popolosa dell’Honduras, per ricevere cure mediche e psicologiche dopo aver subito violenza domestica. Dal marzo 2017 MSF sostiene una clinica materno-infantile a Choloma, cittadina situata in un’area industriale in rapida espansione e nota per i suoi alti livelli di violenza.
Con pochi ospedali nei dintorni, prima dell’arrivo di MSF le donne avevano serie difficoltà ad accedere ai servizi medici. In particolare solo poche donne in gravidanza sono riuscite ad avere un’adeguata assistenza prenatale e i livelli della copertura vaccinale sono sempre più bassi. Il risultato è un alto tasso di morbilità tra le donne in età riproduttiva e un alto numero di decessi correlati al parto.
*Il nome è stato cambiato.
Le operazioni di ricerca e soccorso in mare non sono mai facili. Specialmente di inverno quando le condizioni metereologiche sono spesso proibitive. Nella foto, la nave Aquarius di SOS Mediterranee soccorre un’imbarcazione in difficoltà stracolma di persone al nord della costa libica. A bordo, un team di MSF fornisce assistenza medica, cura ustioni e ferite, tratta i casi di ipotermia e offre umanità e sostegno psicologico.
A bordo, le persone soccorse raccontano di non aver avuto alternativa alla traversata del mare. Fuggono da violenza, conflitti, persecuzioni, povertà estrema nei loro paesi di origine. E a prescindere dalla loro provenienza o dalle loro ragioni, praticamente tutti sono passati dalla Libia, esposti a drammatici livelli di violenza e sfruttamento.
Accade spesso in Sud Sudan che sia necessario percorrere molti chilometri a piedi nella boscaglia per raggiungere comunità che non hanno alcun accesso a cure mediche. Nella foto James, un operatore comunitario di MSF, sta allestendo il suo riparo per la notte, facendosi luce con una torcia.
In Sud Sudan da quattro anni è in corso una violenta guerra civile che ha già provocato migliaia di vittime, quasi due milioni di sfollati all’interno del paese e due milioni di rifugiati che hanno cercato riparo nei paesi limitrofi. I tassi di malnutrizione infantile sono saliti alle stelle. In un paese per metà desertico e per metà paludoso, raggiungere le comunità più remote è una sfida logistica senza pari, che vede impegnati oltre 3.300 operatori locali e circa 300 operatori internazionali di MSF.
Leggi l'articolo originale su TPI.it