Il dipartimento di Sanità pubblica dell’Illinois e dell’Iowa, negli Stati Uniti, stanno conducendo sui prodotti venduti dal colosso McDonald’s dopo che decine di clienti hanno contratto un’infezione intestinale chiamata ciclosporiasi.
In Illinois sono stati identificati 90 casi, mentre altri 15 si sono registrati in Iowa negli ultimi 3 mesi.
Il parassita della ciclosporiasi causa problemi intestinali e si può contrarre attraverso il consumo di cibo o acqua contaminati.
I sintomi si manifestano una settimana dopo la consumazione del prodotto contaminato e causa dissenteria, secondo quanto spiegato dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti.
Chi contrae l’infezione può anche avere perdita di appetito e di peso, crampi allo stomaco, nausea e affaticamento, oltre alla febbre e ai crampi addominali.
Secondo quanto dichiarato dal dipartimento di Salute pubblica, la malattia può durare da alcuni giorni fino ad alcuni mesi e il paziente può sentirsi meglio per poi tornare a mostrare nuovamente i sintomi della malattia.
“L’inchiesta iniziale indica un collegamento tra il consumo di insalate prodotte per i ristoranti McDonald’s e il parassita: circa un quarto dei pazienti dell’Illinois aveva consumato le insalate da McDonald’s nei giorni precedenti”, ha fatto sapere il dipartimento sanitario in una nota.
Il Dipartimenti ha chiesto a chiunque abbia mangiato un’insalata di McDonald’s da metà maggio e sia stato affetto da dissenteria di contattare l’assistenza sanitaria per sottoporsi a test e ricevere le adeguate cure.
L’azienda McDonald’s sta collaborando con il servizio sanitario di Iowa e Illinois e ha fatto sapere di essere in contatto con il Dipartimento per cercare di capire cosa ha causato l’infezione di ciclosporiasi.
“Abbiamo deciso di interrompere volontariamente le vendite delle insalate nei ristoranti interessati fino a quando non potremo avere un altro fornitore di lattuga”, si legge in una mail dell’azienda.
“Stiamo per cambiare il mix di insalate in vendita nei nostri ristoranti e centri di distribuzione identificati, che corrispondono a circa 3mila dei nostri locali statunitensi”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it