Matrimoni Gay anche in Gran Bretagna
Non è stata certo un’ora facile quella che Maria Miller, ‘minister for Equalities’ britannico, ha dedicato pochi giorni fa alle domande della camera bassa sui piani del governo per legalizzare i matrimoni gay. 60 minuti carichi di tensione e caratterizzati da una sorta di inversione delle parti: l’opposizione si è ripetutamente congratulata, mentre è nei confronti di numerosi deputati della maggioranza che il ministro ha dovuto tenere alta la guardia.
Com’era prevedibile, infatti, gli attacchi sul progetto da parte di alcuni Tory non sono mancati, e molti non hanno usato mezzi termini. Sir Gerald Howarth ha dichiarato, trattenendo a stento un fremito di rabbia, che il governo “non ha alcun mandato per infliggere questo enorme cambiamento sociale e culturale al Paese”. Altri hanno parlato di “oltraggio costituzionale”, o ancora di “arroganza” da parte dell’esecutivo.
Un simile fuoco di fila, da cui la Miller è uscita visibilmente stremata, mostra quanto siano profonde le divisioni sul tema all’interno del partito conservatore britannico; divisioni che David Cameron corre il rischio di esasperare, con una proposta non prevista né nel manifesto elettorale del partito né nel coalition agreement con i Lib-Dem.
Il primo ministro si è personalmente impegnato nella difesa dei matrimoni fra coppie dello stesso sesso: “Sono in favore dei matrimoni gay perché sono un grandissimo sostenitore del matrimonio”, ha dichiarato, “e non voglio che gli omosessuali siano esclusi da questa grande istituzione”.
Le ragioni di un simile entusiasmo però vanno oltre le battaglie di principio. In gioco c’è una posta elettorale sostanziosa, legata all’immagine che i Tory intendono assumere nei prossimi anni agli occhi del Paese. Secondo Simon Griffiths, research fellow al Centre of Political Ideologies di Oxford, per capire ciò che sta accadendo è fondamentale prendere in considerazione la composizione del principale partito di governo. Quest’ultimo “è uno strano miscuglio di liberismo economico e conservatorismo etico/sociale, e ogni parlamentare è contraddistinto da una particolare miscela di questi due elementi”.
Cameron, che in campo economico è un liberista convinto, “sta cercando di distanziarsi dallo zoccolo duro dei ‘conservatori sociali’ per dare al partito un volto nuovo, più amichevole e al passo con la Gran Bretagna moderna. Suo obiettivo è anche scrollare di dosso ai Tory l’associazione pressoché esclusiva con cupi temi economici e anti-europeisti, portando avanti politiche ‘soft´ e dal tono positivo come questa”. La battaglia sui matrimoni omosessuali è dunque solo uno dei tasselli di un’operazione più ampia, di cui un altro esempio è la patina ambientalista che il capo dell’esecutivo sta cercando di dare, anche qui fra enormi difficoltà, alla propria agenda.
“Il primo ministro”, continua Griffiths, “ha tendenzialmente affidato incarichi di governo a figure in linea con questa aspirazione modernizzante, come il ministro degli Interni Theresa May o il ministro dell’Educazione Michael Gove, riuscendo così a costruire una certa coesione nella sua cerchia più stretta”. Il risultato, però, è anche “un dualismo sempre più netto tra la leadership e i membri del partito più intransigenti”.
La questione dei matrimoni gay, dunque, allarga una ferita già esistente, più che aprirne una nuova. “Molti di quanti attaccano Cameron sul tema”, secondo Griffiths, “sono da tempo critici nei confronti della sua premiership in generale. I più tradizionalisti hanno tenuto a freno il proprio risentimento fino alle elezioni del 2010, sperando che un partito compatto potesse acquisire la maggioranza assoluta; ma dato che il massimo che sono riusciti ad ottenere è stato un governo di coalizione questa strategia può dirsi fallita, sono ora molto più propensi a protestare apertamente contro il trend modernizzante sostenuto da buona parte dell’esecutivo”.
Nonostante queste tensioni, la mossa di Cameron sembra offrire tutti i vantaggi elettorali di una classica convergenza al centro. In un contesto in cui il Labour guida i sondaggi con un distacco di 10-12 punti percentuali, l’unica speranza per il primo ministro è catturare gli indecisi nella ‘terra di mezzo´. Il nuovo taglio gay friendly del governo costituisce quindi un concreto tentativo di presentare i Tory come un one nation party, etichetta ferocemente contesa al Labour, perlomeno dalla stagione delle conferenze di partito (settembre-ottobre 2012) in avanti.
La fattibilità di una simile strategia però non è scontata. Certo, molte associazioni che si battono per l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali mostrano un certo ottimismo. Andrew Copson, chief executive della British Humanist Association, sostiene che “la riforma ha ormai buone possibilità di essere approvata. La maggioranza della popolazione è a favore, e in Parlamento il progetto è sostenuto dai Lib-dem e dai Laburisti, oltre che da buona parte dei Conservatori”. Anche Simon Griffiths non vede particolari ragioni per cui la proposta non dovrebbe passare, se Cameron insisterà.
Tuttavia, puntualizza, “potrebbe ancora fare marcia indietro, se la questione si rivelasse così divisiva da minacciare la sua leadership”. Specie considerando che c’è già chi si prepara ad approfittare dello scontento generato dalla proposta. Nigel Farage, leader del partito anti-europeista Ukip, non ha nascosto di voler fare man bassa degli elettori irritati dalle tendenze ‘modernizzanti´ di Cameron, annunciando che l’opposizione ai matrimoni omosessuali costituirà un nodo centrale della sua campagna per le europee del 2014. Il nuovo one nation party di Cameron deve quindi fare i conti con il rischio di una pesante emorragia di voti a destra. Nel caso volesse prevenirla, le nuove riforme pro-gay sarebbero verosimilmente tra le prime a venire sacrificate.
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