Il 4 aprile 2018 si celebra il 50esimo anniversario dell’assassinio di Martin Luther King, pastore protestante, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, premio Nobel per la pace.
King aveva 39 anni, il 4 aprile 1968, quando fu ucciso da un colpo di fucile sparato da James Earl Ray, un criminale evaso l’anno prima da una prigione del Missouri.
È rimasto nella storia il suo discorso “I have a dream” del 28 agosto 1963 davanti 300mila persone riunite al Lincoln Memorial di Washington, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili.
“Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi”, disse King.
Negli Stati Uniti sono state organizzate diverse manifestazioni per ricordare la sua uccisione. Gli eventi più importanti si terranno al National Civil Rights Museum di Memphis, il museo sorto nel luogo in cui King fu assassinato.
L’hashtag ufficiale della commemorazione è #MLK50.
Martin Luther King era nato ad Atlanta, capitale dello stato federale americano della Georgia, il 15 gennaio 1929. Dopo essersi laureato a Boston, nel 1954 tornò in Alabama nella città di Montgomery per lavorare in una chiesa battista.
Nel 1957 fondò il congresso dei leader cristiani degli stati del Sud, con cui intendeva dare voce agli attivisti afro americani impegnati nella lotta contro la segregazione razziale.
Nel 1963 fu arrestato nella città di Birmingham, in Alabama, in seguito a un’iniziativa di disobbedienza civile. Dal carcere scrisse le famose Lettere dalla prigione di Birmingham, in cui dichiarava e motivava perché andava contro la legge americana.
In seguito al suo arresto, i movimenti di disobbedienza e le manifestazioni aumentarono nella città dell’Alabama. Le persone arrestate per queste proteste furono talmente tante che terminò la disponibilità di celle nel carcere cittadino.
In seguito agli scontri, il presidente americano John F. Kennedy presentò al Congresso un provvedimento che concesse uguali diritti a bianchi e afroamericani. Nonostante l’opposizione degli stati del Sud, la legge venne approvata e il 28 agosto 1963 King, insieme ad altri leader delle più importanti associazioni impegnate nei diritti civili, poté stringere la mano del presidente Kennedy.
Un anno dopo, nel 1964, il pastore vinse il premio Nobel per la pace. I suoi sforzi, e quelli della comunità afro-americana in protesta, non restarono inascoltati: nello stesso anno venne approvato il Civil Rights Act, ossia la legge che proibiva la segregazione razziale dei neri nelle strutture pubbliche, nelle scuole e nei posti di lavoro. Nel 1965 seguì un altro provvedimento che concesse loro il diritto di voto.
Martin Luther King morì il 4 aprile 1968 a Memphis, sulla terrazza della stanza 306 del Lorraine Motel, dove soggiornava con i suoi collaboratori.
I funerali si svolsero nella sua città natale, Atlanta, in Georgia. King fu trasportato in un carretto di legno trainato da due muli, simbolo della sua lotta contro la povertà.
Le sue ceneri riposano al Martin Luther King Jr. Center for Nonviolent Social Change, l’istituzione fondata dalla vedova Coretta nel 1968 per portare avanti il messaggio del marito.
Recentemente, il 24 marzo 2018, Yolanda Renee King, nipote di Martin Luther King, a soli nove anni di età è stata tra i protagonisti della March For Our Lives, la grande manifestazione lanciata dagli studenti sopravvissuti alla sparatoria alla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida, per chiedere regole più strette sul possesso di armi.
La piccola è intervenuta sul palco catalizzando l’energia dei presenti e conducendoli in un coro contro le attuali politiche sugli armamenti.
“Mio nonno aveva un sogno e anche io ho un sogno, e cioè che quando è troppo è troppo. E che questo dovrebbe essere un mondo senza armi, punto”, ha detto la bambina. “Spargete la voce: avete sentito? In ogni parte del paese, noi saremo una generazione libera!”.