“Lavoro come giornalista e scrittore e sogno, come tutto il mio popolo, di vivere un’esistenza libera e dignitosa. L’occupazione israeliana ci opprime e ci priva delle condizioni di vita necessarie alla dignità umana: la Striscia di Gaza è una vera e propria prigione senza alcuna via d’uscita, senza posti di lavoro, senza elettricità, né un servizio sanitario. Questo è ciò che ha spinto le persone come me a partecipare alla Grande Marcia del Ritorno”.
A parlare è Ahmed Abu Ratima, nato a Rafah nel 1984. Siamo riusciti a metterci in contatto con lui e a farci spiegare le ragioni che lo hanno mosso a prendere parte alla Grande Marcia del Ritorno.
La grande marcia ha l’obiettivo di realizzare il “diritto al ritorno”, una richiesta palestinese secondo la quale i discendenti dei rifugiati che hanno perso le loro case nel 1948 possano ritornare alle proprietà della loro famiglia nei territori che attualmente appartengono a Israele. In questo articolo vi abbiamo spiegato cos’è.
“La mia famiglia è originaria della città di Ramla”, prosegue Ahmed “ma mio nonno fu costretto ad abbandonarla nel 1948 quando venne occupata da Israele”.
Come è nata l’idea della Marcia?
La Marcia del Ritorno nasce per ragioni politiche che vanno ricercate nella lotta per i diritti del popolo palestinese dopo settant’anni di occupazione, dopo le migrazioni forzate e le numerose sofferenze imposte dall’assedio israeliano. L’inasprimento dell’assedio nei confronti della Striscia di Gaza ha avuto un ruolo fondamentale nella maturazione di questa realtà poiché il blocco ci ha reso impossibile l’esistenza e ha imposto una morte lenta a una popolazione rinchiusa.
Ciò nonostante, credo che il blocco sia soltanto uno degli effetti dell’occupazione che rimane invece la radice di tutti i nostri problemi che hanno essenzialmente una matrice politica ed è per questo che la Marcia del Ritorno è un grido di libertà e di dignità di fronte alla morte e all’oppressione.
Come si è diffusa?
L’idea della Marcia del Ritorno ha riscosso una grande partecipazione perché il popolo ha maturato una profonda coscienza collettiva riguardo ai pericoli che minacciano la causa nazionale palestinese e crede sempre di più nel valore e nell’utilità della strategia non violenta.
Questa idea rivoluzionaria si basa sulla potenza della parola e sulla forza della fede nella giustizia ed è vicina agli insegnamenti di Gandhi e di Martin Luther King. In occasione del cinquantesimo anniversario dal suo assassinio, i palestinesi hanno innalzato cartelloni che ritraevano Martin Luther King e questa è un’importante evoluzione culturale che conferma che la lotta dei palestinesi è profondamente legata a tutti coloro che nel mondo combattono per la libertà e la dignità.
Israele sostiene che Hamas abbia avuto un ruolo nell’organizzazione di queste manifestazioni, cosa ne pensi?
Israele sta combattendo contro la Marcia del Ritorno con la strategia della menzogna in quanto non vuole mostrare la vera immagine di uno stato che pratica l’omicidio, la deportazione e l’aggressione indiscriminata nei confronti di un popolo intero. Israele diffonde informazioni che distorcono la realtà e afferma che Hamas sia a capo di questo movimento per nascondere il fatto che Israele e la sua violenza siano l’origine del problema e non certo la reazione del popolo palestinese o il suo tenersi o meno a distanza dal confine.
Non siamo obbligati a sottostare alle regole dell’occupazione, esiste una risoluzione internazionale che garantisce ai rifugiati palestinesi il diritto di tornare ai propri villaggi e città che si trovano al di là della barriera di separazione. I giovani che si sono avvicinati alla recinzione non rappresentano una minaccia per la sicurezza dei soldati israeliani e non è giustificabile l’uso di proiettili contro dei ragazzi disarmati.
Tanto più che nei giorni scorsi è stato pubblicato un video che mostra chiaramente come i soldati israeliani abbiano ucciso per divertirsi e non perché fossero costretti a farlo.
C’è un messaggio che vuoi inviare al mondo?
Siamo un popolo in cerca della vita, della libertà e della dignità ed è inaccettabile che nel ventunesimo secolo esista ancora un popolo segregato dietro al muro dell’oppressione e dell’apartheid. Questo non aiuta a favorire la pace e la sicurezza nel mondo. Il popolo è vivo e non accetterà di essere sottomesso né di morire in silenzio.
Muthana al-Najjar è un giornalista palestinese e un attivista. Anche lui ha preso parte alla Grande Marcia del Ritorno e ci ha raccontato quali sono le motivazioni che hanno spinto i manifestanti a promuovere questa iniziativa.
“Prima di tutto, molte persone sognano realmente di ritornare e in loro ho visto un grande amore per le città da cui provengono. La maggior parte di queste persone vive nei campi profughi affrontando quotidianamente una situazione catastrofica, tanti vedono nella Marcia una possibilità di riscatto, altri sono venuti per opporsi alla decisione di Trump e per dimostrare che non volevano una patria alternativa”.
Hai notato un cambiamento nel modo di pensare delle persone che hanno preso parte a queste manifestazioni?
Alcuni non comprendono il significato della lotta non violenta perché è estranea alla loro mentalità, c’è però chi è consapevole della sua importanza e rispetta i principi della Grande Marcia pacifica, c’è chi piange per tutte le giovani vittime uccise dall’esercito israeliano che risponde con la repressione contro persone inermi perché i soldati sono venuti qui per divertirsi, per guardare la frontiera e per godere dell’aria aperta.
Cosa pensi dell’uccisione del reporter Yaser Murtaja?
Israele punta sempre sui giornalisti, più di una volta ci ha colpito e ha assassinato. L’uccisione di Yaser Murtaja serve per terrorizzarci e per cercare d’impedirci di mostrare al mondo ciò che sta accadendo. Yasser non costituiva alcun pericolo e non pubblicava nulla che li potesse danneggiare perché stava soltanto filmando.
Cosa pensi del ruolo di Hamas?
Israele cerca di diffondere l’idea che Hamas sia dietro al movimento perché ha bisogno di giustificazioni per fermarlo ma la maggior parte delle vittime che ha ucciso erano civili che avevano preso parte a manifestazioni pacifiche.
*Questo articolo è stato possibile grazie al supporto di Ramy Balawi
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