NEW YORK – La settimana scorsa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha eletto 5 dei 10 membri non permanenti del Consiglio di sicurezza, l’organo più importante e prestigioso dell’Organizzazione internazionale.
Tra i due nuovi membri rappresentanti del gruppo regionale dei paesi dell’Europa occidentale e altri paesi (WEOG), che entreranno in Consiglio nel gennaio 2017 per un mandato di due anni e che prenderanno il posto di Spagna e Nuova Zelanda, ci sarà anche l’Italia, che aveva presentato la propria candidatura nel 2009, rendendo competitiva un’elezione per cui si erano già candidati, nel 2004 e 2005 rispettivamente, la Svezia e i Paesi Bassi.
L’Italia in realtà manterrà il seggio per solo un anno, avendo raggiunto un accordo proprio con i Paesi Bassi per spartirsi il mandato, dopo il manifestarsi di una situazione di sostanziale impasse in cui i due Paesi dopo ben cinque scrutini erano risultati appaiati con 95 voti a testa, a dimostrazione dell’imbarazzo della “membership” nello scegliere tra due candidature molto valide e tutto sommato simili. La Svezia si era invece imposta fin dal primo turno con 134 voti a proprio favore, 5 oltre la maggioranza qualificata di 129 voti necessari per essere eletti, ovvero i due terzi dell’Assemblea.
Si tratta di un risultato per certi versi storico: era dagli anni sessanta, infatti, che due paesi non decidevano di “smezzare” un mandato biennale in Consiglio di sicurezza. La decisione di procedere con una soluzione così inconsueta, ma apprezzatissima dalla quasi totalità degli stati membri dell’Onu, è stata senza dubbio influenzata dalla decisione del popolo britannico di votare a favore dell’uscita dall’Unione Europea, appena 5 giorni prima del voto in Assemblea generale.
Non è da sottovalutare, infatti, il messaggio proprio in chiave europeista di questa soluzione, ampiamente enfatizzato dai ministri degli Esteri Koenders e Gentiloni già pochi minuti dopo l’accordo informale che porterà l’Italia a detenere il seggio nel 2017 e i Paesi Bassi nel 2018. Non va neppure ignorato il sospiro di sollievo che hanno tirato le istituzioni europee a Bruxelles e la Delegazione Ue all’Onu alla notizia di questo compromesso tra due paesi fondatori. Una sfida fratricida a pochi giorni da Brexit, infatti, sarebbe stata certamente un duro colpo da digerire e un’ulteriore perdita di credibilità per l’Ue, specie in sede Onu, dove i 28 riescono solitamente a trovare una posizione comune quasi su tutto.
Ora sarà interessante osservare se questa “trovata” potrà fare scuola e aprire una nuova stagione nelle elezioni per il Consiglio di sicurezza. Se da una parte, infatti, alcuni sostengono che un intero mandato di due anni sia comunque insufficiente per lasciare il segno nelle attività del Consiglio e che il peso dei membri annuali rischi di essere ancora inferiore rispetto a quello di Paesi che faranno l’intero mandato (già di per sé meno influenti rispetto ai cinque membri permanenti), va anche sottolineato come i ritmi del Consiglio negli ultimi anni siano diventati sempre più frenetici ed estenuanti e non pare verosimile immaginare un’inversione del trend.
Con una media di circa due riunioni al giorno (weekend compresi) e la delicatezza e importanza dei temi trattati, seguire in maniera approfondita tutti i dossier affrontati dal Consiglio per due interi anni richiede un enorme impegno in termini di risorse e personale, un impegno che pochi paesi si possono permettere e che sta diventando sempre più insostenibile, specie per i membri non permanenti e non abituati alle dinamiche e ai rituali del Consiglio di sicurezza. Garantire quelle risorse per un solo anno, invece, potrebbe certamente diventare più gestibile. Paesi amici e con posizioni simili, come sono in genere i paesi Ue, potrebbero, quindi, iniziare a ragionare sull’opportunità di ripetere questo esperimento anche in futuro. Senza contare che se gli stati membri riuscissero ad accordarsi prima delle elezioni potrebbero anche risparmiarsi campagne elettorali che durano anni, distogliendo risorse ed energie dalla loro attività “core” in sede Onu.
Molto, in ogni caso, dipenderà da quanto riusciranno a portare a termine Italia e Paesi Bassi nei prossimi due anni e dalla qualità dei risultati prodotti da questo esperimento. Possiamo stare certi che i paesi interessati ad analizzarne l’andamento non saranno pochi.
Le prossime due elezioni all’interno del gruppo WEOG si prospettano, come quest’ultima d’altra parte, molto competitive e vedranno Germania, Belgio e Israele contendersi due seggi per il mandato 2019-2020 (le elezioni saranno nel giugno 2018), mentre per quanto riguarda il mandato ancora successivo (2021-2022) saranno la Norvegia, l’Irlanda e il Canada, candidatosi solo a marzo provocando il ritiro di San Marino, a competere per due seggi. Chissà, magari qualcuno in queste capitali sta valutando l’opportunità di una soluzione di compromesso che accontenti tutti, sull’esempio di quella raggiunta da Italia e Paesi Bassi.
Quella nel gruppo WEOG non è stata l’unica elezione competitiva di questa tornata elettorale. Il Gruppo Asia, chiamato a eleggere un membro non permanente, ha visto prevalere il Kazakistan sulla Thailandia. Il Paese centrasiatico, eletto per la prima volta nel Consiglio, prenderà il posto della Malesia. Sono state inoltre elette in “clean-slate”, ovvero come candidate uniche, Etiopia e Bolivia, rispettivamente per il gruppo Africano e il gruppo dei paesi dell’America Latina e Caraibi. Sostituiranno le uscenti Angola e Venezuela.
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