Secondo la magistratura brasiliana l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva era il capo supremo del vasto e istituzionalizzato sistema di corruzione dietro la compagnia petrolifera statale Petrobras.
La denuncia dei magistrati è arrivata nella serata di mercoledì 14 settembre e infligge un duro colpo alle speranze di un ritorno in politica del leader di sinistra, che vanta ancora una popolarità altissima tra i brasiliani.
Ieri in conferenza stampa il pubblico ministero Deltan Dallagnol ha dichiarato che Lula è stato accusato di corruzione e riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta ‘Lava Jato’, sui fondi neri e le tangenti legate al colosso petrolifero Petrobras. Un sistema, secondo i magistrati, che avrebbe causato perdite agli azionisti di Petrobras superiori ai 12 milioni di dollari (circa 10 milioni e mezzo di euro).
“Lula era il direttore di un’orchestra criminale. Lo schema di Petrobras consentiva di mantenere al potere il Partito dei Lavoratori attraverso pratiche illecite”, ha detto Dallagnol in conferenza stampa. Il magistrato ha inoltre definito quelli guidati da Lula dal 2003 al 2010 come “governi della tangentocrazia”.
In base alle anticipazioni fornite ai media locali, le denunce riguardano presunte irregolarità nella ristrutturazione di un attico di lusso a Guarujà, sul litorale di San Paolo, di cui l’ex capo di stato ha sempre negato la proprietà. L’intestazione dell’immobile alla società costruttrice Oas secondo la magistratura sarebbe invece fittizia, un escamotage per nascondere una tangente.
Lo scandalo Petrobras, paragonabile a Mani Pulite in Italia, è stato anche la causa della destituzione poche settimane fa di Dilma Rousseff, scelta da Lula come successore e messa in stato d’accusa dal parlamento per aver nascosto falle nel budget per favorire il suo partito, scatenando l’ira degli elettori che vivono la peggior crisi economica del Brasile dagli anni Trenta.
Gli avvocati difensori di Lula hanno risposto alle accuse sostenendo che mancano di prove e che fanno parte di un piano politico per impedire al fondatore del Partito dei Lavoratori (Pt) di ricandidarsi alle elezioni presidenziali del 2018. Una condanna, infatti, impedirrebbe a Lula di presentarsi al voto per almeno otto anni.
Il mito di Lula in bilico
Il declino di Lula e del Pt, da lui fondato negli anni Ottanta, è stata drammatica. Il giovane leader del sindacato che guidò gli scioperi di massa contro il regime brasiliano, contribuendo alla sua caduta, fu eletto presidente nel 2002, dopo tre campagne elettorali fallite.
Primo rappresentante delle classi popolari alla presidenza della nazione, le politiche sociali di Lula permisero a milioni di brasiliani di uscire dalla povertà. Quando terminò il doppio mandato nel 2010, con un tasso di gradimento dell’83 per cento degli elettori, Lula consegnò a Rousseff un paese con una crescita del 7,5 per cento annuo.
Ma due anni dopo, iniziò a diventare pubblica l’inchiesta Petrobras, e tra le indagini dei magistrati e le fughe di notizie, la sua figura comincò a vacillare, mentre i brasiliani diventati classe media iniziavano a mostrare insofferenza per le politiche di sinistra del Pt, mentre la crisi economica faceva sentire i suoi effetti.
In molti hanno iniziato a dubitare che Lula non sapesse nulla del diffusissimo sistema corruttivo istituzionalizzato intorno al colosso petrolifero Petrobras.
Tuttavia, recenti sondaggi mostrano che il Pt e Lula sono ancora i favoriti nelle prossime elezioni parlamentari. A meno che le nuove accuse non siano un colpo troppo duro da sostenere anche per il mito di Lula.
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