Lo scisma del Regno Unito
“Il problema dell’arcivescovo di Canterbury è che è troppo maledettamente cristiano“. Così secondo Giles Fraser, ex canonico della cattedrale londinese di St. Paul, un vescovo si sarebbe espresso a proposito di Rowan Williams, che ha terminato il suo incarico il 31 dicembre. Oltre a costituire un perfetto esempio di cinismo anglosassone, la frase descrive bene l’approccio adottato da Williams in questi dieci anni alla guida della Chiesa d’Inghilterra e dell’intera Comunione anglicana, evidenziandone al tempo stesso i limiti.
Il 2013 segna la fine di un mandato contrassegnato da enormi sforzi di mediazione da parte di Williams per promuovere un graduale riformismo, ma evitando i conflitti aperti e cercando innanzitutto di salvaguardare l’unità di una Comunione sempre più spaccata al proprio interno. I risultati però sono stati magri: i progressi auspicati dall’arcivescovo faticano ad affermarsi e le fratture su temi quali il ruolo delle donne e degli omosessuali appaiono oggi più inconciliabili che mai, tanto all’interno della Chiesa d’Inghilterra quanto nei rapporti fra le varie chiese sorelle.
Intellettuale raffinato e di tendenze liberali, autodefinitosi una volta ‘capellone di sinistra‘, al momento della sua nomina nel 2002 Williams fu accolto con calore dalle correnti progressiste all’interno della Comunione. Fin da subito, però, si è trovato di fronte scelte difficili e, come spesso accade, la sua avversione per gli scontri frontali ha finito per alienargli più consensi di quanti non ne abbia procurati. Nel 2003, quando il teologo omosessuale Jeffrey John fu nominato vescovo di Reading, Williams diede la propria approvazione, ma fece poi marcia indietro di fronte alle proteste furibonde degli evangelici. Un dietrofront che i liberali non gli hanno mai perdonato.
Un’altra frattura che Williams non è riuscito a comporre è costituita dalla questione femminile. Forse la più grande delusione del suo mandato è arrivata lo scorso novembre, quando il sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha di fatto bloccato, per pochi voti, il processo verso la possibilità per le donne di venire ordinate vescovi. Un traguardo cui Williams puntava da anni e che è sfumato proprio alla fine della sua esperienza a Canterbury. Il peso dell’evento è stato così sottolineato da Andrew Brown, cronista di affari religiosi per il Guardian: “Credo di avere appena assistito al suicidio della Chiesa d’Inghilterra.” Anche Williams non ha usato mezzi termini. Nel sermone di Natale, l’ultimo in qualità di arcivescovo, ha dichiarato che il voto “ha fatto perdere alla Chiesa un pezzo di credibilità“.
Anche la questione dell’omosessualità rimane lontana da una soluzione. La recente apertura del governo Cameron ai matrimoni gay ha visto un’opposizione tutto sommato compatta da parte dei vertici della Chiesa d’Inghilterra, a partire da Williams. Ma su altri aspetti, come la nomina a vescovi di omosessuali dichiarati, le posizioni sono particolarmente varie e conflittuali. A metà dicembre, la Camera dei Vescovi anglicani ha approvato una nuova norma, secondo cui i sacerdoti omosessuali che hanno stretto unioni civili possono diventare vescovi, purché le loro relazioni siano caste. Anche in questo caso, le proteste non sono mancate. Particolarmente roboanti sono state quelle della Chiesa anglicana keniota. Non appena emersa la notizia, l’arcivescovo Eliud Wabukala ha ammonito che la decisione “renderà la restaurazione dell’unione anglicana una sfida ancora più difficile”.
Significativamente, Wabukala ha sostenuto che con il voto di dicembre “la vita della Comunione anglicana è stata ancora una volta obnubilata dal compromesso con le preoccupazioni secolari dell’Occidente”. Essere arcivescovo di Canterbury ha dunque significato, in questi anni, cercare di tenere insieme realtà agli antipodi: dal progressismo della Chiesa episcopale statunitense, che benedice le unioni omosessuali, consacra vescovi apertamente gay e ha affidato a una donna la sua carica più importante, al conservatorismo delle comunità anglicane d’Africa, stabilite in Paesi in cui l’omosessualità è spesso punita per legge e con l’approvazione delle chiese locali.
Con queste sfide dovrà fare i conti anche il successore di Williams. La scelta è caduta sul vescovo di Durham Justin Welby, che si insedierà tra febbraio e marzo. Più conservatore del suo predecessore sul piano politico e teologico, e in buoni rapporti con le chiese africane, Welby è però anche noto come uomo pragmatico e buon negoziatore, e per il momento è stato accolto con cauto favore anche dalle componenti più liberali della Comunione.
In uno scritto di molti anni fa Jim Cotter, reverendo fondatore del Gay Christian Movement, ha così descritto il modo in cui la Chiesa fa i conti con le sfide alla propria tradizione: “Primo, finge che la sfida non esista. Secondo, vi si oppone con veemenza. Terzo, comincia ad ammettere attenuanti ed eccezioni. Infine, dichiara che in realtà è quello in cui ha sempre creduto”. Il problema della Comunione anglicana è che le sue varie componenti stanno percorrendo fasi diverse di questo processo di elaborazione. Sta alla guida spirituale di Canterbury evitare che l’architettura complessiva si sbricioli. Un compito che, per riprendere le parole usate una volta da Williams, richiede “la costituzione di un bue e la pelle di un rinoceronte”.