Un cauto ottimismo prevale ancora in Libia dopo il successo dei negoziati tenuti a Ginevra tra i rappresentanti dell’Esercito nazionale libico (LNA) e il Governo di Accordo Nazionale (GNA) nel raggiungere un cessate il fuoco permanente nel Paese africano, aprendo così la strada al dialogo politico previsto a Tunisi il 9 novembre, mentre in queste ore torna a riunirsi la Commissione militare congiunta tra le parti in conflitto. Vari esperti ed esponenti libici ritengono che il successo dell’accordo dipenda da diversi fattori, il più importante dei quali riguarda il livello di impegno delle parti coinvolte nell’Ovest del Paese.
Il 23 ottobre, la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha annunciato la firma di un accordo di cessate il fuoco permanente tra le parti in conflitto a Ginevra. L’intesa consente il ritorno alle proprie case di sfollati e rifugiati, la partenza entro 3 mesi di tutti i mercenari presenti in Libia, la formazione di una forza militare congiunta tra le parti in conflitto soggetta a un comando unificato, la riapertura di tutte le strade nel Paese e il contrasto all’incitamento all’odio nonché lo scambio dei prigionieri.
Gabreel Ouheida, membro della Camera dei rappresentanti di Tobruk, ribadisce a TPI che l’Esercito nazionale libico, guidato dal generale Khalifa Haftar, rispetterà quanto previsto dagli accordi negoziati in seno alla Commissione militare congiunta (Jmc 5+5) a Ginevra, ricordando come il gruppo armato abbia già confermato questa linea di apertura al dialogo. Secondo Ouheida, il problema è dall’altra parte del Paese africano, dove il premier Fayez al-Serraj ha deciso di non dimettersi, in particolare tra quelle milizie attive nell’Ovest della Libia e alleate con la Turchia, che hanno dichiarato l’intenzione di non impegnarsi su alcuni punti del negoziato, come la rinuncia alle intese firmate con Ankara, lo scioglimento e il disarmo dei gruppi armati.
Riguardo al dialogo intra-libico e agli incontri previsti a Tunisi, l’esponente della Camera dei rappresentanti di Tobruk non sembra affatto ottimista. Secondo Ouheida, le conclusioni previste dai negoziati in Tunisia, a cui partecipano 75 esponenti del mondo politico e della società civile libica, sono due e portano o al fallimento dei colloqui, aprendo un nuovo vicolo cieco per il Paese, o al consolidamento dello status quo e all’aumento dell’influenza nella capitale dei gruppi politici islamici, delle milizie armate e di conseguenza dei loro alleati turchi e qatarioti. “Non cambieranno che alcune facce all’interno del Consiglio presidenziale e del governo”, prevede l’esponente politico libico, secondo cui questo rischia “di far saltare in aria quanto concordato durante i negoziati della Commissione militare congiunta”.
Il portavoce dell’Esercito nazionale libico, Ahmed Al-Mismari, ha recentemente affermato che la formazione guidata da Haftar aderirà pienamente agli accordi negoziati in Svizzera, sottolineando come la palla sia attualmente nelle mani del Governo di accordo nazionale di Tripoli. L’accordo di Ginevra, ha ribadito Al-Mismari in conferenza stampa, necessita di un garante per la sua piena attuazione. Secondo il militare libico, l’intesa è pienamente coerente con gli obiettivi delle forze di Haftar in materia di lotta al terrorismo e potrebbe portare – questa la sua speranza – a una soluzione politica nel Paese.
Intanto, il ministro della Difesa del governo di Tripoli, Salah al-Din al-Nimroush, ha ricordato che “l’accordo di cessate il fuoco firmato a Ginevra non prevede la rinuncia alla cooperazione militare con l’alleato turco”, definendo “preliminare” l’intesa raggiunta in Svizzera.
Anche, il Supremo Consiglio di Stato libico considera “il cessate il fuoco firmato a Ginevra e mediato dalla Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia un accordo tra un’autorità legittima e una forza ribelle che ha cercato di prendere il potere con la forza”.
Fonti informate nella capitale Tripoli hanno confermato a TPI che gli sforzi volti a sciogliere le milizie armate affiliate al Governo di accordo nazionale devono affrontare una serie di ostacoli nonostante la minaccia delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di sanzionare chi si oppone agli accordi mediati a Ginevra.
Le stesse fonti affermano che il piano elaborato dal ministro dell’Interno di Tripoli, Fathi Bashagha, per smantellare le milizie e le brigate ad esse affiliate, deve fronteggiare il rifiuto al disarmo di queste formazioni.
Secondo Khaled Mahmoud, giornalista egiziano esperto di affari in Libia, la delegazione del Governo di accordo nazionale presente ai colloqui non ha alcun controllo o influenza sulle milizie e l’amministrazione stessa è solo uno strumento nelle mani di questi gruppi armati, su cui incombe la minaccia di Haftar. “Il comandante dell’esercito libico, Khalifa Haftar, resta per ora a guardare quel che accadrà”, ha rivelato Mahmoud a TPI.
Il giornalista egiziano prevede un fallimento dei colloqui e accusa le milizie, il Qatar e la Turchia di preferire il caos alla pace. “Mi aspetto che la delegazione del governo di Tripoli affronterà vari problemi di sicurezza durante i colloqui di Ghadames”, dove oggi è cominciata la prima tornata del quinto round di negoziati della Commissione militare congiunta (Jmc 5+5).
I presenti dovranno avviare i colloqui per l’attuazione del cessate il fuoco, anche attraverso l’istituzione di vari sub-comitati, nonché di un meccanismo di monitoraggio del rispetto degli accordi.
Va ricordato come il lavoro della Commissione militare congiunta rappresenti una delle tre strade a cui stanno lavorando le Nazioni Unite per raggiungere la pace in Libia, oltre al percorso economico e quello politico, sulla base della Risoluzione 2510 (2020) adottata dal Consiglio di Sicurezza.
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