Il Libano verso una nuova era politica: Hezbollah perde la maggioranza
Il Libano si prepara a una nuova, incerta, era politica dopo il voto di domenica, che potrebbe aver decretato la fine della maggioranza guidata dal movimento filo-iraniano Hezbollah.
Secondo i risultati preliminari, è “improbabile” che il movimento sciita, considerato un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Regno Unito e Germania, possa ottenere assieme ai suoi alleati più di 64 seggi, necessari per raggiungere la maggioranza nel parlamento libanese. Lo hanno riferito a Reuters fonti vicine al gruppo islamista, in attesa dei risultati ufficiali del voto.
Alle ultime elezioni del 2018, i partiti sciiti e i loro alleati avevano ottenuto 71 seggi su 128 totali, avvicinando il paese dei Cedri all’orbita iraniana. Un duro colpo per la rivale Arabia Saudita, che negli ultimi anni ha avuto rapporti burrascosi con Beirut, fino alla parziale ripresa delle relazioni diplomatiche il mese scorso.
Il paese, già il terzo più indebitato al mondo prima della pandemia, sta affrontando la peggiore crisi economica e valutaria dalla fine della guerra civile 30 anni fa. Oltre alla difficile situazione economica, che ha visto la moneta nazionale perdere il 95 percento del proprio valore e il tasso di disoccupazione triplicarsi, negli ultimi tre anni il paese ha dovuto fare i conti con la pandemia e le devastanti esplosioni del porto di Beirut del 2020, mentre nel sud del paese Israele ha condotto diversi raid contro Hezbollah. La profonda crisi politica che il Libano attraversa ormai da anni è stata accelerata dalle storiche proteste dell’ottobre 2019, in cui milioni di persone sono scese in strada per contestare la classe dirigente che ha governato il paese negli ultimi decenni. Una richiesta di cambiamento rappresentata alle elezioni da diversi candidati indipendenti, che puntano anche a riformare il sistema con cui viene regolata la vita politica del paese, dove gli incarichi sono distribuiti su base settaria. Secondo i risultati preliminari tuttavia, le forze politiche tradizionali hanno ancora poco da temere.
Nonostante diverse vittorie contro politici di lungo corso, i candidati della società civile sembrano infatti avere scarse possibilità di insidiare i partiti tradizionali, che potrebbero invece tornare a consolidarsi intorno a due blocchi: uno guidato da Hezbollah e un altro dal partito cristiano delle Forze libanesi. Proprio il gruppo guidato dall’ex falangista Samir Geagea sembra il principale vincitore del voto del 15 maggio, in cui è riuscito ad affermarsi come primo partito cristiano. La formazione, sostenuta dall’Arabia Saudita, è stata una strenua oppositrice di Hezbollah negli ultimi anni, prendendo le distanze dal Movimento patriottico libero, altro gruppo cristiano guidato dal presidente del Libano, Michel Aoun. Quest’ultimo partito, ormai spodestato dalle Forze libanesi, era stato invece alleato di Hezbollah fin dal 2006.
L’avanzata delle Forze libanesi compensa anche il ritiro dalle scene dell’ex primo ministro Saad al-Hariri, esponente di spicco della politica sunnita, da sempre vicino all’Arabia Saudita. A gennaio l’ex capo del governo, dimessosi dopo le proteste del 2019, ha annunciato la sospensione della propria attività politica, seguita dal ritiro del suo Movimento dalle elezioni. Una decisione che ha privato la galassia sunnita del suo punto di riferimento e potrebbe aver inciso anche sull’affluenza, inferiore rispetto alla scorsa tornata. Secondo i dati provvisori, la partecipazione al voto è stata particolarmente bassa nei centri sunniti, che potrebbero aver accolto l’appello di Hariri di boicottare le elezioni.
La scelta è stata accolta con freddezza in Arabia Saudita, teatro di un clamoroso caso diplomatico nel 2017. Proprio all’allora primo ministro fu impedito di lasciare Riad per due settimane, durante le quali annunciò a sorpresa le dimissioni da capo del governo, poi ritrattate una volta tornato a Beirut. “Astenersi alle prossime elezioni significherà che i seggi sunniti andranno agli alleati di Hezbollah, il nemico storico non solo dei sunniti ma anche dei libanesi che una volta si fidavano di Saad”, ha affermato un editoriale pubblicato a inizio mese nel quotidiano Okaz, che accusa Hariri di essersi “gettato nelle braccia di Teheran”, secondo quanto riportato dal Washington Post.
“L’Iran non ha mai cercato di interferire negli affari interni del Libano”, ha dichiarato oggi il ministero degli Esteri iraniano, in risposta all’ennesima accusa di aver fatto del Libano la sponda occidentale in una strategia di accerchiamento dei suoi nemici nella regione. Secondo il portavoce Said Khatibzadeh, spetterebbe invece al popolo libanese “decidere il destino del proprio paese”.