Pochi giorni fa su la Repubblica è stato pubblicato un intenso e affascinante reportage – firmato da Stefania Di Lellis – sulle proteste in Libano che mi ha dato l’occasione per riflettere sul viaggio che ho realizzato a settembre in quel Paese nell’ambito delle attività di cooperazione portate avanti dall’Agenzia Nazionale per i Giovani, l’ente della Presidenza del Consiglio dei Ministri che dirigo da oltre un anno.
In quei giorni ho scoperto un Libano passionale e vitale, trainato e guidato sempre più nei suoi cambiamenti sociali dalle donne, vero motore di un Paese ancora dilaniato da conflitti, disuguaglianze e povertà.
Ecco, il reportage citato attribuiva alla rivoluzione libanese in corso il volto delle donne, e mi restituiva una fotografia del Libano che avevo ricevuto alcuni mesi prima grazie alle giornate trascorse in compagnia di una delegazione di 34 tra giovani donne policy maker, educatrici, youth worker, esperte e attiviste, provenienti da 17 Paesi d’Europa e dell’area Euromed, con l’obiettivo di lavorare sull’empowerment della donna in politica e nell’imprenditoria, confrontare esperienze europee con quelle dell’area mediterranea, promuovere la diffusione dei valori europei e provare a coinvolgere nel programma Erasmus+ anche organizzazioni giovanili di quei territori.
Pochi sanno che il programma Erasmus+, di cui l’Agenzia Giovani è l’ente gestore per il capitolo Gioventù, attribuisce alle Agenzie nazionali il compito di sviluppare piani di cooperazione tra le nazioni per rafforzare le competenze e la diffusione del programma.
E soprattutto è aperto anche alle organizzazioni giovanili dei paesi dell’area Euromed (Marocco, Giordania, Israele, Egitto, Tunisia, Palestina, Siria, Libano, Libia e Algeria), che attraverso un partenariato con organizzazioni residenti nei paesi membri, possono accedere alle opportunità del programma.
L’Agenzia Nazionale per i Giovani, nell’ambito del programma Erasmus+, porta avanti con grande impegno un’intensa attività di cooperazione all’estero con i Paesi dell’area EuroMed, cercando di affermare il ruolo chiave dell’Italia – non solo attraverso i convenzionali canali diplomatici – ma anche attraverso la cultura e l’educazione, elementi cardine per dei completi processi di stabilizzazione e democratizzazione dell’area.
Ecco perché l’Agenzia è stata in Libano. Ed ecco perché sarà impegnata anche nei prossimi mesi all’estero. Per rilanciare un messaggio antico di amicizia e testimoniare che la sfida della cooperazione può essere vinta e governata anche attraverso l’educazione e gli investimenti nelle politiche culturali.
I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo guardano all’Italia. E l’Italia deve essere sempre pronta a farsi leader. In tutti i campi. La grande esperienza dei programmi educativi europei, come Erasmus+ ma anche il neonato Corpo Europeo di Solidarietà, possono rappresentare un formidabile strumento di crescita.
Ho conosciuto un Libano fiero delle proprie tradizioni e delle proprie radici. Ma anche alla ricerca costante dell’equilibrio. In un territorio uscito da pochi anni da una guerra, il punto di equilibrio con il passato e con il presente è sempre incerto.
È una terra di compromesso, 18 gruppi religiosi quasi tutti rappresentati in modo diretto o indiretto nelle istituzioni. La guerra è oltre il confine, e non solo. Una popolazione di 4 milioni e mezzo circa di libanesi e una presenza di 1 milione e mezzo di siriani, provoca coesistenze forzate.
È forte il timore di essere occupati. Insieme al nostro autista, pastore evangelista che insegna inglese ai bambini siriani, ho attraversato un campo profughi informale. Un siriano ci ha invitato nella sua baracca facendo il segno del cuore e mostrando un sorriso raro.
Ho visto decine e decine di bambini vivere in condizioni inumane correre verso il nostro furgone e gioire. Il silenzio è calato su tutto il gruppo. E intanto luoghi come questi coesistono con una Beirut invasa da grandi maison di moda e un turismo di lusso che avanza sempre di più.
A Baalbek, a 65 chilometri a Est da Beirut, in una zona dove si sente forte la presenza di Hezbollah, ho conosciuto un gruppo di donne coraggiose che hanno costituito una piattaforma di partecipazione civica, di cittadinanza attiva partendo dall’analisi dei bisogni del territorio, per portare alle Municipalità istanze concrete.
In una zona del Libano dove la partecipazione femminile è stimata intorno all’1 per cento l’esercizio democratico è fondamentale. Pensate che sono anni che non si procede ad un censimento completo della popolazione perché altrimenti si modificherebbero gli assetti della rappresentanza politica.
È chiaro che la classe dirigente e politica rappresenta una fotografia anacronistica della società che sempre più oggi è a guida femminile. Sempre a Baalbek, percorrendo strade puntellate da posti di blocco delle Forze armate libanesi alternati a bandiere con i nomi dei martiri di Hezbollah, ho conosciuto i promotori di un progetto di empowerment femminile puntando sui temi dell’agricoltura, l’energia verde o della sartoria. Nati come esperienze sociali ed oggi trasformate in vere attività imprenditoriali a totale guida femminile.
Ho incontrato i giovani volontari dell’Ong Makassed Volunteers, storica organizzazione filantropica, che incoraggia i giovani a partecipare all’attuazione della politica dell’associazione nel campo dello sviluppo sociale a Beirut e nelle campagne benefiche.
Ho partecipato alle loro attività attraverso l’educazione non formale, ed è li che ho toccato con mano il grande interesse nei confronti dei programmi educativi europei. Makassed ha avviato l’iter di accreditamento per partecipare a partenariati progettuali nell’ambito del Corpo Europeo di Solidarietà.
E ancora ho visitato Chabibeh Club, un’associazione che lavora in ambito Erasmus+ in partnership con diverse organizzazioni italiane. Ho ammirato murales realizzati da street artist napoletani e marsigliesi, conosciuto una ragazza libanese che ha trascorso 2 mesi in Sicilia per lavorare in un progetto di inclusione sociale.
I suoi occhi brillavano. Oggi nel suo gruppo è youth leader. Da li a due mesi alcune ragazze libanesi sarebbero venute in Italia per lavorare sul tema dell’educazione attraverso il teatro. A 50 metri da quella scuola è scoppiata la guerra civile. Il concetto del vivere “ad qui ad ora” si respira forte in questi luoghi.
Parliamo di piccoli tasselli di un mosaico complesso, micro-esperienze ma con impatti macro nella vita delle singole persone, ragazze e ragazzi che cristallizzano in loro la consapevolezza che il loro futuro può essere anche altro, con i piedi saldi nelle loro radici ma con un respiro nuovo, euromediterraneo.
La politica cambia se dal basso c’è un tessuto che spinge. Forse l’istituzione in Libano di un Ministero per l’empowerment delle donne e dei giovani è il segno di questa tensione. E decisamente le manifestazioni degli ultimi mesi è conseguenza di questa spinta.
Ho seguito le manifestazioni, oltre che sui media, anche attraverso i profili social di attiviste conosciute a settembre. Ho visto e conosciuto la loro umanità e dedizione che le rende speciali. Ma come la storia ci insegna, il passaggio dalla piazza alla normalità è tortuoso, lungo e richiede la dedizione e il sacrificio di persone con una visione.
Siamo solo all’inizio, certo è che in questa parte di storia la visione è donna.