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    L’isola di Lesbo sta diventando un manicomio a cielo aperto dove migliaia di rifugiati bambini tentano il suicidio

    Credit: AFP PHOTO / Aris MESSINIS

    Lo psichiatra Alessandro Barberio ha lavorato per 14 anni nel dipartimento di salute mentale di Trieste, racconta di non aver mai assistito un numero così grande di persone bisognose di assistenza psicologica come a Lesbo

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 19 Set. 2018 alle 07:50 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:39

    “Dopo tanti anni di professione medica, posso dire di non aver mai assistito un numero così grande di persone bisognose di assistenza psicologica come a Lesbo. La stragrande maggioranza dei pazienti presenta sintomi di psicosi, ha pensieri suicidi o ha già tentato di togliersi la vita. Molti non sono in grado di svolgere nemmeno le più basilari attività quotidiane, come dormire, mangiare o comunicare”. lesbo isola suicidi bambini 

    Alessandro Barberio ha lavorato per 14 anni come psichiatra nel dipartimento di salute mentale di Trieste.

    È considerato un esperto nella gestione di emergenze di salute mentale avendo assistito persone con dipendenze e morbosità psichiatriche. Cura persone vittime di tratta e fornisce assistenza psicologica ai rifugiati e alle persone in carcere.

    Eppure, nel corso della sua professione, racconta di non aver mai assistito un numero così grande di persone con problemi psicologici come a Lesbo, soprattutto bambini.

    Come denuncia l’ong Medici Senza Frontiere, nel campo di Moria, in Grecia, è in corso un’emergenza senza precedenti, sia per la salute fisica che psicologica degli uomini, donne e soprattutto dei bambini che vi sono bloccati. 

    Solo nelle prime due settimane di settembre, più di 1.500 persone sono arrivate a Lesbo e, senza spazio disponibile, dormono senza alcun riparo, senza cibo sufficiente e con un accesso estremamente limitato alle cure mediche.

    Il campo di Moria sta scoppiando: vi sono oltre 9mila persone, un terzo delle quali sono bambini, stipate in uno spazio attrezzato per accoglierne al massimo 3.100.

    “Le condizioni di vita spaventose sono alla base del tracollo fisico e psicologico delle persone. Tra i richiedenti asilo ci sono persone vittime di forme estreme di violenza e tortura, subite sia nel loro paese di origine sia durante la fuga. Sono stati gravemente traumatizzati, mentalmente e fisicamente”.

     Nella loro prigionia sull’isola di Lesbo sono costretti a vivere in un contesto che favorisce una violenza costante, inclusa quella sessuale o di genere, che colpisce bambini e adulti.

    Questa violenza scatena lo sviluppo di gravi sintomi psichiatrici.

    Nell’area principale del campo di Moria e Olive Grove c’è un servizio igienico funzionante ogni 72 persone, una doccia ogni 84. Numeri ben al di sotto degli standard umanitari raccomandati in situazioni di emergenza.

    “L’aumento del numero degli arrivi, combinato con il più basso tasso di trasferimenti verso la terraferma, esaspera ulteriormente queste condizioni e contribuisce al crescente aggravamento dei problemi psicologici di queste persone”.

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