L’eredità di Benedetto XVI
“Fino alle 19.59 del 28 febbraio Papa Benedetto XVI sarà a tutti gli effetti il sommo pontefice”. Così esordiva padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, in quel caotico giorno in cui Joseph Ratzinger aveva spiazzato il mondo col suo annuncio di rinuncia al trono di Pietro. Mai affermazione è stata più vera: in quest’ultimo e frenetico mese di attività il Papa ha spiazzato chi credeva che si sarebbe messo da parte lasciando tutte le questioni irrisolte ai cardinali.
Benedetto XVI ha, nei fatti, utilizzato tutto il suo tempo, fino all’ultimo giorno utile, per continuare la sua attività di governo. E non solo come capo spirituale, non per nulla i momenti pubblici in questo senso si sono fortemente ridotti, quanto come capo assoluto dello Stato vaticano e della Curia romana. Forse perché ormai libero da pesi e contrappesi da dover sapientemente dosare in un ambiente come quello interno ai sacri palazzi o forse per la fortissima volontà di voler mettere gli ultimi puntelli prima del periodo di sede vacante. Molto probabilmente per indicare una via al suo successore e al collegio cardinalizio.
Anzitutto nei suoi ultimi discorsi sono stati tantissimi i riferimenti, più o meno espliciti, alla sua delusione nei confronti di un certo modo di vedere la Chiesa come campo di battaglia tra schieramenti interni interessati più ad affermare il proprio potere che a tramandare una fede bimillenaria. E così sono stati numerosi i passaggi in cui Ratzinger ha richiamato all’umiltà, all’abnegazione, allo spirito di servizio. Segno che i rapporti all’interno della Curia, negli ultimi tempi, non erano centro idilliaci.
Anche la nomina del nuovo direttore dello Ior è stata una chiara dimostrazione di forza, per non parlare delle ultime promozioni interne e conseguenti spostamenti (nella Chiesa vige ancora l’efficientissimo “Promoveatur ut amoveatur”) come il caso Balestrero dimostra: il viceministro degli Esteri è stato nominato arcivescovo e trasferito a Bogotà, come nunzio apostolico.
Aver deciso di mettere a disposizione del prossimo pontefice i documenti del caso Vatileaks, e solo in parte al collegio cardinalizio, è un altro puntello: Benedetto XVI ha tenuto a sottolineare che neanche tutti e 117 i cardinali insieme possono occuparsi di questioni che spettato solo ed esclusivamente al Papa.
Ultimo in ordine di tempo il Motu Proprio Normas Nonnullas con cui il Santo Padre ha voluto integrare le regole del conclave abolendo alcune pratiche andate in disuso (come la proclamazione per acclamazione) e cercando di sottolineare fortemente il carattere democratico, ma allo stesso tempo segreto, del conclave.
Insomma chi credeva in un Papa ‘dimissionario’ e quindi in dismissione si è dovuto ricredere. Resta da vedere come reagirà la Curia romana a questi ultimi anticorpi iniettati da Benedetto XVI.
Leggi l'articolo originale su TPI.it