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    Le bambine che costano troppo

    In India sono avvenuti circa 12 milioni di aborti femminili negli ultimi trent'anni, di cui la metà solo nell'ultimo decennio

    Di Elsa Pasqual
    Pubblicato il 15 Ott. 2014 alle 18:58 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 23:26

    “Per il matrimonio di nostra figlia, in futuro avremo bisogno di centomila rupie (circa 1.300 euro). Se non riesci a ottenere questa cifra da tua madre, allora bisogna ucciderla. Subito”.

    Umar Farook e Reshma Bano, 19 anni, sono una coppia indiana. Ad aprile del 2012 hanno dato alla luce una bambina, Neha. Per Umar, però, si è trattato di un incidente.

    Per le famiglie indiano meno ricche, dover dare in dote soldi e gioielli ai parenti dello sposo per permettere il matrimonio della figlia risulta spesso sconveniente. Anche se la legge indiana ha vietato la pratica nel 1961, è ancora molto diffusa.

    “Nostro figlio doveva nascere maschio. Perché hai dato alla luce una femmina?”, ha chiesto disperatamente Umar a sua moglie Rashma dopo la nascita della bambina, ritenendola colpevole di aver dato alla luce una figlia.

    Rashma non ha mai avuto intenzione di uccidere la bambina messa al mondo e credeva che suo marito avrebbe cambiato una volta presa in braccio sua figlia. Ma Umar è rimasto convinto della sua opinione: lui voleva un uomo, un erede.

    Tre mesi dopo, nel giugno del 2012, Neha è morta di arresto cardiaco. “Stavo dormendo”, racconta Reshma alla Cnn. “Non mi sono accorta di nulla. Mio marito Umar ha preso la nostra bambina, le ha messo un calzino in bocca e poi ha iniziato a riempirla di botte. Quando mi sono svegliata, l’ho trovata ricoperta di lividi, morsi e bruciature di sigaretta”.

    Oggi Umar Farook è in arresto con l’accusa di aver picchiato a morte la bambina. Secondo le autorità, avrebbe confessato l’omicidio.

    Quello di Neha non è un caso isolato in India. Secondo dottori ed esperti, la nascita di una femmina è vista come un pericolo nel Paese. Un figlio maschio invece è considerato come un investimento, dal momento che porta avanti il nome di famiglia e si occupa del sostentamento.

    Nel giugno 2013 un uomo residente nel distretto di Dharmapuri, nel sud dell’India, è stato arrestato con l’accusa di aver fatto bere a sua figlia di 22 giorni del latte avvelenato e di avere seppellito il corpo in un fosso. L’infanticidio delle neonate è molto diffuso nel Paese e sebbene non ci siano dati ufficiali riguardo il numero di bambine uccise, gli attivisti sostengono che almeno due casi di questo tipo vengano riportati alle autorità ogni mese. 

    Alcune comunità indiane vivono in situazioni di estrema povertà e non si possono permettere il test degli ultrasuoni per rivelare il sesso del nascituro. Per questa ragione ricorrono spesso all’infanticidio. Le famiglie più abbienti, invece, cercano di liberarsi delle figlie ancor prima che nascano, con aborti selettivi in base al sesso. 

    Un rapporto dell’Onu, intitolato Sex Ratios and Gender Biased Sex Selection, denuncia il fenomeno degli aborti femminili in India. L’analisi, che si fonda sui dati forniti dall’ultimo censimento generale del 2011, mette in evidenza il forte squilibrio numerico tra maschi e femmine nel Paese. Si stima che ogni 1.000 maschi, nel 1961 si contavano 941 femmine, mentre nel 2011 solo 933. Tra i 0 e i 6 anni invece, nel 1961 c’erano 976 bambine ogni 1.000 maschi. Nel 2011 solo 927.

    Uno studio effettuato nel maggio 2011 dalla rivista medica britannica Lancet ha rilevato che sono avvenuti fino a 12 milioni di aborti di sesso femminile negli ultimi trent’anni in India, di cui la metà solo nell’ultimo decennio. “La parità di genere è una delle sfide più pressanti per lo sviluppo del Paese”, afferma Lise Grande, coordinatrice per delle Nazioni Unite in India.

    “È tragicamente ironico che le donne, esseri in grado di creare la vita, vengano private del diritto di nascere. La forte differenza tra maschi e femmine in India ha ormai raggiunto livelli d’emergenza. È quindi necessario provvedere a delle misure di emergenza per alleviare questa crisi”, dice Lakshmi Puri, vicedirettore esecutivo di UN Women.

    Seema Sirohi, giornalista indiana, in un articolo per The Christian Science Monitor, ha scritto: “Chi sostiene che le donne indiane siano libere di scegliere di abortire se sono in attesa di una femmina, sbaglia. Una tipica donna indiana ha poca o nessuna libertà di scelta. Per essere veramente accettata deve dare alla luce un figlio maschio. Pensare che una donna abbia il possesso del proprio corpo è un concetto estraneo in India”.

    Nonostante il governo indiano abbia emanato leggi che proibiscano ai medici di dichiarare alla future madri il sesso del nascituro in modo da limitare l’infanticidio femminile, la pratica dell’aborto illegale è tutt’ora molto praticata.

    Un altro tentativo da parte delle istituzioni indiane per limitare l’infanticidio e l’aborto selettivo è stato quello di creare orfanatrofi per accogliere le bambine rifiutate. Queste strutture dispongono di ceste in vimini dove lasciare le neonate indesiderate.

    A Salem, una regione del Tamil Nadu, nel sud dell’India, c’è un orfanatrofio, il Life Line Trust, che permette alle madri di abbandonare in completo anonimato le bambine che poi verranno date in adozione. Tuttavia, alcuni attivisti dei diritti umani fanno notare che l’iniziativa non affronta le cause profonde dell’infanticidio femminile, ma anzi incoraggia ad abbandonare le bambine, permettendo ai genitori di delegare la responsabilità delle loro figlie allo stato.

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