«Non possiamo sopravvivere con 7,25 dollari all’ora».
Questo è il messaggio lanciato da 500 persone tra lavoratori, attivisti, leader religiosi e politici locali che si sono riuniti all’esterno del McDonald’s della Fifth Avenue a New York.
La folla di lavoratori si è radunata nel centro di Manhattan per chiedere salari più alti e per avere la possibilità di iscriversi a un sindacato. I dipendenti dei fast-food reclamano a gran voce che qualcuno li ascolti e sono pronti a dar vita a un’escalation di manifestazioni in 50 città e in mille negozi in tutto il paese.
Da New York a Los Angeles, fino a Chicago. I lavoratori statunitensi fanno sul serio: «Vogliamo un cambiamento – ha dichiarato una manifestante al “Los Angeles Times”– questo è il nostro quarto sciopero a New York e adesso puntiamo ad altre cinquanta città».
I manifestanti chiedono ai ristoranti fast-food come McDonald’s, Burger King e Wendy, di aumentare il salario minimo a 15 dollari l’ora. Adesso la retribuzione media nell’area di New York è di 8,25 dollari l’ora, mentre 7,25 è il salario minimo. Le loro proteste sono sostenute dal sindacato americano Service Employees International Union, da diverse chiese e da altre organizzazioni.
Le proteste, che hanno avuto inizio nel novembre del 2012, sono particolari perché non si dirigono verso una singola impresa o multinazionale, ma l’intera industria del fast-food, e il suo modello di business, indipendentemente dalle etichette.
Nel frattempo il Wall Street Journal ha pubblicato uno spot a pagina piena che spiega come i ristoranti potrebbero ridurre i costi utilizzando dei robot per fare delle frittelle al posto degli attuali dipendenti: «Perché i robot potrebbero presto sostituire i lavoratori dei fast-food chiedendo un salario decisamente minore», recita l’annuncio. Quello che si chiama gettare acqua sul fuoco.
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