Non esiste un registro delle persone che vengono detenute lì. I prigionieri vanno e vengono senza lasciare traccia.
Non viene permesso loro di incontrare un avvocato o di contattare le rispettive famiglie. Quando si trovano lì dentro, sono come fantasmi.
Ma non è una prigione in Afghanistan – come questa – e nemmeno Guantanamo (fino a poco fa ce n’era una anche nell’est Europa).
Il centro di detenzione che sorge nella parte occidentale di Chicago, nello stato americano dell’Illinois, è conosciuto dagli attivisti per i diritti umani come Homan Square.
È un deposito adibito a centro di detenzione e i poliziotti qui ricorrono spesso all’uso della violenza contro i prigionieri, che vengono tenuti incatenati fino a 17 ore consecutive durante gli interrogatori.
Alcune delle persone che entrano a Homan Square sono convinte che non rivedranno mai più la luce del sole.
Brian Jacob Church, un attivista 23enne nato in Florida, è stato imprigionato lì con l’accusa di aver organizzato una forma di protesta violenta durante il summit della Nato che si è tenuto a Chicago nel 2012.
Church e altri tre ragazzi erano stati arrestati due giorni prima dell’inizio del summit per aver preparato quattro bombe molotov.
Ma anzichè essere portato a una stazione di polizia, Church venne rinchiuso a Homan Square per quasi una giornata intera, senza avere la possibilità di contattare un avvocato e prima ancora di essere stato formalmente accusato di qualcosa.
“Homan Square è sicuramente un luogo inusuale”, ha raccontato Church al quotidiano britannico The Guardian.
“Riporta alla mente quelle strutture dove avvengono gli interrogatori in Medio Oriente. La Cia li chiama black sites. È un vero e proprio black site domestico”, dice Church.
“Quando ti trovi lì dentro, nessuno è al corrente di quello che ti sta succedendo”, ha concluso l’uomo.
Secondo Spencer Ackerman, il reporter investigativo del Guardian che ha condotto un’inchiesta su Homan Square, questa forma di detenzione rappresenta un abuso di potere da parte del governo degli Stati Uniti nell’ambito della cosiddetta guerra contro il terrorismo.
“È una sorta di finto segreto tra gli avvocati che visitano regolarmente le centrali di polizia. Se non riesci a trovare un cliente nel sistema, c’è una buona probabilità che si trovi lì dentro”, ha detto Julia Bartmes, che fa l’avvocato a Chicago, riferendosi a Homan Square.
Bartmes, un altro avvocato di Chicago, ha raccontato al Guardian di aver seguito personalmente il caso di un ragazzo di 15 anni detenuto a Homan Square. La madre del giovane l’aveva contattato dopo che la polizia aveva arrestato il ragazzo con l’accusa di essere stato coinvolto in una sparatoria.
Dopo essere riuscito a risalire al deposito di Homan Square, a Bartmes non è stato permesso di incontrare il ragazzo, che è tornato a casa soltanto 13 ore dopo l’arresto, senza essere stato accusato di nulla.
Ci sono molti aspetti ancora da chiarire riguardo alle pratiche utilizzate all’interno di Homan Square.
La polizia di Chicago si è rifiutata di rispondere alle domande del Guardian, ma ha diffuso un comunicato scritto in cui afferma che il centro di detenzione “rispetta tutte le leggi, regole e linee guida in materia di interrogatori dei detenuti”.
“Se un avvocato ha un cliente detenuto a Homan Square, così come in qualsiasi altra struttura, ha la possibilità di parlarci”.
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