MOSCA – La pagina del social network russo Vkontakte mostra due foto di un 19enne, Dzhokhar Tsarnaev, sospettato di aver preso parte agli attacchi terroristici di Boston. Una è un autoritratto, in bianco e nero, che lo mostra come orgoglioso e ambizioso. Nell’altra il giovane abbraccia un amico vicino al tavolo di una cucina, dando l’idea che chi si vede nella foto è un teenager come tanti altri.
Le informazioni biografiche sono poche: nato il 22 luglio. Non sposato. Lingue: russo, inglese e ceceno. Educazione: School Number One della città di Makhachkala, 1999-2001, Cambridge and Latin School, Boston. Religione: Islam. Le priorità della vita: carriera e denaro.
Il giovane era residente a Boston, ma on-line abitava un mondo completamente differente. Nella sua pagina condivideva link che rimandavano a siti esclusivamente in lingua russa frequentati da giovani musulmani. I suoi interessi: “Tutto quello che concerne la Cecenia”, “I Ceceni”, “Le Moschee”, e “l’Islam”, anche una cosa chiamata “La corporazione del Male”, rivista che si auto-definisce “sarcastica”. I partecipanti dei gruppi, che per lo più erano salafiti ultra-conservatori provenienti da Russia e dintorni, discutevano di argomenti che i musulmani si trovano di fronte ogni giorno, dalla mancanza di moschee in Siberia e Russia ai diritti umani violati nelle regioni islamiche. Pur vivendo a Boston da una decina di anni, il giovane Tsarnaev era molto attivo nella comunità musulmana russa. Ma questo basta a spiegare il motivo per cui Dzhokhar e suo fratello più grande Tamerlan (ucciso durante la prima sparatoria con la polizia) hanno voluto distruggere la vita degli abitanti di Boston?
“Ci sono molte ragioni per cui i musulmani portano rancore verso gli Stati Uniti” ha detto Gulnara Rustamova, un avvocato per i diritti umani che difende i salafiti in Dagestan, “Gli americani uccidono i musulmani, in Afghanistan e Iraq. Questa potrebbe essere la ragione”.
La famiglia dei fratelli Tsarnaev ha vissuto per un breve periodo nella Repubblica Centrale Asiatica del Kyrgyzstan (dopo le deportazioni di Stalin è diventato casa per molti ceceni). Poi era tornata nel nord del Caucaso, stabilendosi in Dagestan, una repubblica di tre milioni di abitanti ai confini con la Cecenia. Infine la famiglia si è trasferita definitivamente negli Stati Uniti nel 2002.
Fino a non molto tempo fa il Dagestan era un posto relativamente pacifico. Le cose sono cambiate dopo le due disastrose guerre di indipendenza cecene, una tra il 1994 e il 1996, e la seconda iniziata nel 1999. La Russia ha usato l’esercito per sedare i tentativi di rivolta, convincendo anche molti clan ceceni a combattere al loro fianco.
Il Cremlino ha fatto uso di artiglieria pesante, forze aree e raid punitivi all’interno delle città. L’atmosfera di stabilità era solo superficiale. In realtà le rivolte in Cecenia non solo sono continuate, ma si sono diffuse velocemente in altre parti del nord del Caucaso dove sono presenti comunità musulmane. Il numero di attacchi, bombardamenti e tentativi di repressione in Dagestan è costantemente aumentato con il passare degli anni.
A rendere le cose peggiori è il fatto che i musulmani della regione non combattono solo contro Mosca. In molti casi sono iniziate anche delle lotte interne. L’avanzare della fazione ultra-conservatrice salafita ha aumentato i dissapori dei moderati sufisti, che rappresentavano prima la maggior parte della popolazione locale (in questo contesto Tamerlan Tsarnaev ha preso la sua posizione: sulla sua pagina Youtube ha denunciato un video che mostra i sufisti caucasici seppellire uno dei loro, definendo il rito come “idolatra”).
La sporca guerra della regione continua ad accelerare. Le operazioni speciali a opera delle forze di sicurezza russe e gli attacchi dei fondamentalisti islamici hanno portato via decine di vite. Nei primi quattro mesi di quest’anno, 67 persone hanno perso la vita in atti terroristici nella regione del Dagestan, ma ormai non vengono nemmeno menzionati.
I russi prestano attenzione agli insorti solo quando gli attacchi suicidi colpiscono la metropolitana di Mosca o l’aeroporto. Quando questo accade gli esperti consigliano al Cremlino di analizzare con urgenza il perché la jihad dei salafiti del nord del Caucaso ha trovato terreno fertile.
“Registriamo vittime, scomparse, esecuzioni sommarie, rapimenti e torture che accadano in tutto il nord del Caucaso, ma le persone sono stufe di sentirne parlare” ha detto Tatyana Lokshina, direttore di Human Rights Watch a Mosca. “Un attacco terroristico a Boston è più vicino alla Russia delle violenze che accadono a pochi chilometri dal confine sud del Paese”, ha aggiunto.
Ho seguito le agitazioni nel Nord del Caucaso per 13 anni, da quando la seconda guerra cecena ha sconvolto la regione, ho visto crescere la comunità dei giovani musulmani nelle repubbliche vicine alla Cecenia, li ho seguiti non appena avevano iniziato a parlare di una creazione di uno Stato indipendente basato sulla Sharia, che doveva essere chiamato ‘Emirato Caucasico’.
Alcuni di loro hanno imbracciato le armi e iniziato una guerriglia contro le istituzioni russe. A loro volta i russi hanno risposto con le forze speciali, l’esercito e la polizia, contro chiunque simpatizzasse per il movimento. Ma con le guerre in Afghanistan e Iraq, l’interesse dei miei direttori per storie ‘di nicchia’ è svanito. Perché dovremmo prestare attenzione a posti come il Dagestan o la Cecenia quando ci sono conflitti che infiammano l’intero Medio Oriente?
Mi ricordo quanto tempo mi era servito per persuadere il mio direttore a farmi lavorare sulla morte della mia collega e amica Natalia Estemirova, attivista per i diritti umani. Fu uccisa in Cecenia da un colpo di arma da fuoco, il nome dell’assassino è rimasto un mistero. Pochi giornalisti arrivarono a Grozny per dirle addio. Fu triste vedere com’era piccolo il gruppo. Ma non fu solo l’Occidente a perdere interesse per le guerre locali vicino alla Russia, un paio di anni fa ricordo un’intervista alla radio dove mi chiedevano perché mi scomodavo a voler intervistare il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, il più importante leader nel Nord del Caucaso. “Perché continui ad andare là?” mi è stato chiesto. La ricerca di marketing dei miei intervistatori aveva infatti mostrato che solo il 13 per cento dei loro ascoltatori mostravano interesse per notizie provenienti da quella regione.
L’ultimo weekend, come riportato dall’organizzazione per i diritti umani Memorial, carri armati e artiglieria hanno bombardato un’area poco fuori dalla città di Gimry (4 mila abitanti), in Dagestan. Centinaia di persone con bambini sono state costrette a lasciare le loro case e si sono rifugiate in una comunità vicina, Temroary, rendendo le abitazioni sovraffollate. Gli uomini hanno dormito nelle loro macchine o nelle moschee.
Per settimane, la polizia russa e i servizi segreti hanno combattuto quella che loro stessi descrivono come “operazione speciale” contro un gruppo di guerriglieri dell’area di Gimry. La battaglia ha lasciato 2 mila persone senza tetto, vestiti e cibo. Ancora una volta i giornali locali hanno dedicato poco spazio a questa situazione. “Noi musulmani del Dagestan veniamo trattati come non fossimo cittadini russi, tutti i giornali parlano solo dell’attacco a Boston”, ha detto un rifugiato, Napisat Magomedova.
“Gimry? È in Armenia?” mi ha domandato Aleksei Venediktov, direttore della stazione radio Ekho Moskvy. Quando accade ogni giorno, anche il terrorismo può rendere stanchi e indifferenti: “Il Dagestan è come l’Irlanda durante The Troubles, dove un’esplosione a un distributore di benzina non faceva notizia”. Ha notato che molti nazionalisti russi tendono a riferirsi al Dagestan e alla Cecenia come se fossero Stati stranieri. Continuano a domandare al Cremlino di costruire un muro e separare le due regioni dal resto della Russia.
Ma oggi le notizie riportavano che due terroristi di possibile matrice cecena avevano sconvolto Boston: “Come può essere?” ha scritto qualcuno riferendosi al sogno di una carriera di successo rivelato dal giovane Tsarnaev. “Sono una specie di borghesi neo-islamisti? Combinazione interessante, quindi credono in Allah e Mammona?” “Gli americani stanno pagando il prezzo del supporto ai guerrieri della liberazione cecena”, commenta qualcun altro. “Questa è tutta una farsa! Gli americani prendono qualcuno di un gruppo a rischio, rifugiati o musulmani, e creano le condizioni per un arresto”. Pochi sembrano accettare una conclusione che invece pare ovvia: i traumi causati da una guerra persistente nel Nord del Caucaso stanno prendendo ora la via degli Stati Uniti.
Articolo di Foreign Policy per The Post Internazionale
Traduzione di Samuele Maffizzoli