Sonja ha 25 anni ed è una ragazza indiana. Si è laureata da poco in Sociologia alla Univeristy of Delhi e per il momento si è fermata nella capitale, dove lavora nell’ufficio di un sindacato. É a capo di un progetto di recupero giovanile e per andare al lavoro alterna con disinvoltura nel suo vestiario il tradizionale kurti indiano a jeans e maglietta.
Sonja fa parte della middle class indiana: buon livello di educazione, lavoro ben retribuito, appoggio della famiglia alle spalle, parla perfettamente sia hindi che inglese. Nonostante il buon livello d’educazione e il suo impegno sociale, Sonja non voterà alle elezioni generali di aprile in cui verrà eletto il nuovo primo ministro.
Infatti, anche se sono già passati sei anni da quando è diventata maggiorenne e ha acquisito il diritto al voto, la sua tessera elettorale non è ancora stata emessa. “Ma anche se avessi la tessera, non voterei lo stesso”, dice Sonja. “Sono ufficialmente residente nello stato di Assam e in India è permesso recarsi alle urne solo nel luogo di residenza. Per arrivare nella mia città servono trentotto ore di treno e non posso assentarmi dal lavoro per così tanto; in aereo basterebbero due ore, ma volare è troppo costoso”.
La situazione di Sonja è condivisa da milioni di altri cittadini indiani. I numeri della popolazione migrante all’interno del Paese sono in costante crescita, ed è quindi difficile averne una stima precisa. Nonostante ciò, secondo Ravi Srivastava, professore di Economia presso la Nehru Univeristy di New Delhi, già nel 2011 tre indiani su dieci erano migranti.
In un Paese in cui la popolazione si aggira intorno al miliardo e 250 milioni, ciò significa che approssimativamente 375 milioni di persone vivono al di fuori del proprio luogo d’origine. Sebbene sia possibile cambiare la propria residenza ufficiale e quindi poter votare nella città in cui si vive abitualmente, questa operazione è estremamente complessa. Per ottenere il nuovo certificato di residenza è infatti necessario avere un indirizzo stabile e riconosciuto dalle autorità.
Per i milioni di indiani che vivono in slums o negli accampamenti abusivi delle grandi città è quindi impossibile cambiare la propria residenza. Inoltre anche per chi è in grado di dimostrare un indirizzo legalmente riconosciuto e stabile, le tempistiche d’attesa per il rialscio della nuova documentazione sono dell’ordine di anni, a cui va poi aggiunta l’attesa per ottenere una nuova tessera elettorale.
Data questa situazione, dei circa 375 milioni di migranti interni dell’India solo chi potrà permettersi di tornare a casa potrà quindi votare. Molti membri della middle class indiana condividono la situazione di Sonja e decideranno di non andare a votare. Per Ravi Sivrastava, la stragrande maggioranza dei migranti interni all’India non fa parte della middle class, ma vive in situazioni precarie e spesso al limite della soglia di povertà.
Per questa fascia della popolazione tornare nel luogo di residenza significa quindi rinunciare a interi giorni di lavoro già scarsamente retribuito e affrontare spese di viaggio spesso proibitive. Ciò che ne emerge è che in India una fascia consistente dell’elettorato sarà escluso dalle urne. Solo chi non ha avuto la necessità di migrare, o chi si potrà permettere di tornare a casa, potrà infatti votare.
Quindi, mentre le votazioni indiane di aprile 2014 sono state salutate come le più grandi elezioni democratiche della storia, è proprio la parte più economicamente vulnerabile della società indiana quella che non potrà accedervi.
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