Max Steinberg, 24 anni, era nato a Los Angeles. Di origini ebraiche, domenica 20 luglio è morto nella Striscia di Gaza con in testa il berretto marrone della 1° Brigata di fanteria Golani dell’esercito israeliano.
Uriel Ferera, 19 anni, è nato in Argentina. Ebreo ortodosso, vive a Beersheba in Israele. L’8 giugno è stato incarcerato per 20 giorni dopo essersi rifiutato di prestare servizio militare. È la terza volta che Uriel viene arrestato perché obiettore di coscienza.
Steinberg non aveva mai voluto mettere piede nello stato di Israele prima del 2012, secondo quanto raccontato dalla madre. In quell’anno fu convinto dai suoi genitori a partecipare a uno dei viaggi in Palestina della Taglid-Birthright. L’associazione, fondata nel 1999 da due ebrei americani, Charles Bronfman e Michael Steinhardt, nasce con la volontà – si legge nel sito – di “rinforzare l’identità ebraica e la solidarietà con Israele” offrendo a giovani ragazzi ebrei un viaggio di dieci giorni in Terra Santa.
Kiera Feldman, americana cresciuta con un’educazione ebraica, è una dei 400mila ragazzi dai 18 ai 26 anni che, insieme a Max Steinberg, hanno preso parte ai viaggi del Birthright. Accompagnata da giovani israeliani e soldati dell’Idf (esercito israeliano), Leah ha visitato lo Stato israeliano, bombardata costantemente da informazioni sulla religione ebraica e sulla storia del sionismo.
Come per i tre quarti dei ragazzi della Taglid-Birthright, a Max quest’esperienza cambiò la vita: anche lui in quei dieci giorni di viaggio aveva vissuto il “momento”, quell’attimo in cui i partecipanti si rendono conto di quanto per loro sia importante Israele, la loro identità ebraica e la causa sionista. Tornato a casa decise di trasferirsi in Israele e di arruolarsi nell’esercito. “Margine protettivo”, l’operazione di guerra lanciata lo scorso 8 luglio da Israele nella Striscia di Gaza, era la sua prima operazione sul fronte.
Dagli 800 ai 1,000 ragazzi o ragazze straniere l’anno si arruolano nell’esercito israeliano. Circa 4.600 soldati stranieri sarebbero oggi presenti nell’Idf, 2mila dei quali provengono dagli Stati Uniti. Gli ebrei non israeliani che decidono di arruolarsi possono partecipare a diversi programmi di volontariato chiamati Mahal. Di una durata tra i 18 e i 21 mesi, i Mahal preparano i volontari a entrare nelle unità di combattimento dell’Idf attraverso un lungo addestramento militare.
In Israele tutti i cittadini sono obbligati per legge a prestare servizio militare, tre anni per gli uomini e due per le donne. In Israele l’obiezione di coscienza è illegale e la pena è il carcere. Nonostante questo, esiste in Israele una minoranza rumorosa di obiettori di coscienza: i refusnik.
Sono due i punti fondamentali che spingono queste persone, per la maggior parte ragazzi, a non prestare servizio miliare per l’Idf: il rifiuto dell’occupazione e di ciò che l’esercito commette contro i palestinesi, insieme all’ostilità verso l’influenza che l’esercito ha nella società israeliana.
Gli ultimi anni di liceo sono il momento in cui i giovani israeliani ricevono il telegramma di convocazione dall’esercito. Cinquanta ragazzi di diverse scuole hanno risposto a questo telegramma con una lettera rivolta al primo ministro Benjamin Netanyahu, in cui spiegano i motivi che li spingono a rifiutarsi di prestare servizio militare.
Si chiamano Shministim e la loro è una tradizione che va avanti dal 1970, anno in cui i primi liceali inviarono una lettera di protesta all’allora presidentessa israeliana Golda Meir. Uriel Ferera è uno di loro.
“Non posso partecipare all’antidemocratica occupazione dei territori palestinesi portata avanti dai militari”, racconta Uriel in un video diffuso su YouTube. “Ogni forma di servizio militare contribuisce alla conservazione dello status quo, per questo la mia coscienza non mi permette di prendere parte a questo sistema”.
Arruolarsi nell’esercito, però, è un elemento fondamentale dell’identità nazionale israeliana. Per questo la scelta portata avanti dai refusnik non viene apprezzata dalla maggioranza della popolazione e le sue conseguenze non sono soltanto legali.
L’allontanamento dalla propria famiglia e l’espulsione dalla scuola sono altre difficoltà che gli obiettori devono affrontare, come rileva lo studio dall’antropologa Erica Weiss dell’Università di Tel Aviv. Dalle possibilità lavorative ai legami interpersonali, in primis familiari, essere obiettori di coscienza in Israele significa mettere in crisi la propria vita e il proprio futuro.
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