“Non posso credere che dobbiamo ancora protestare contro questa merda”, recita il cartello di una giovane manifestante americana.
Coprifuoco dalla mezzanotte alle cinque di mattina, qualsiasi assembramento per le strade vietato. Trentuno persone arrestate nella sola notte del 18 agosto, divieto di volo al di sotto dei 3mila piedi, scontri tra polizia e manifestanti. Per dieci giorni la città di Ferguson, nel Midwest americano, ha vissuto sotto assedio.
Lo scorso 9 agosto Michael Brown è stato ucciso dai colpi di arma da fuoco di un poliziotto. Era disarmato e l’ultima autopsia confermerebbe che al momento della morte le sue braccia erano alzate, in segno di resa. Michael era un ragazzo di diciotto anni, afroamericano.
La composizione demografica a Ferguson è cambiata molto velocemente negli ultimi anni: nel 1990, il 74 per cento dei cittadini erano bianchi e il 26 per cento neri. Oggi la percentuale si è ribaltata con il 67 per cento della popolazione di origine afroamericana.
La “fuga bianca” che ha colpito la città di Ferguson non ha, però, avuto conseguenze sulla classe dominante locale: secondo il Los Angeles Times solo uno dei membri del consiglio comunale è nero. Il consiglio scolastico locale ha sei membri bianchi e uno latino, e dei 53 sottoufficiali delle forze di polizia solo tre sono afroamericani.
Ferguson è una città di neri governata da bianchi. Una causa è certamente la poca affluenza alle urne. In occasione delle ultime elezioni locali, ha votato il 12,3 per cento degli aventi diritto, la maggioranza dei quali “è rappresentata dai residenti bianchi e anziani” e che vivono da più tempo nella città di Ferguson, secondo Terry Jones, professore di scienze politiche presso l’Università del Missouri a Saint Louis.
Un video degli scontri del 13 agosto della Cnn
La rappresentanza politica non è l’unico elemento che divide le comunità. Urbanisticamente, secondo uno studio della Brown University, Saint Louis rappresenta la nona contea americana per segregazione razziale. Economicamente, a Ferguson, un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà e lo stipendio medio si aggira intorno ai 37mila dollari (10mila in meno rispetto alla media di Saint Louis), secondo l’Ufficio del censimento statunitense.
Le manifestazioni pacifiche e violente che si sono svolte a Ferguson sono la risposta della comunità all’omicidio di Michael Brown, ma prendono forza da un senso di frustrazione che i residenti afroamericani covano da molto tempo. Una frustrazione nata anche dalla disparità di trattamento della polizia locale nei confronti di questa comunità: i fermi di polizia degli afroamericani sono 7 volte di più rispetto a quelli dei bianchi (4.632 contro 684), secondo i dati ufficiali del 2013 del Dipartimento di polizia di Ferguson.
Ciò “non prova che le forze dell’ordine fermano le vetture in base alla razza o all’etnia del conducente”, come si legge nel rapporto della Procura generale del Missouri, ma avvalora il sentimento di discriminazione percepito dalla comunità afroamericana.
Anche in questi giorni di proteste, per le strade di Ferguson, il comportamento della polizia non ha aiutato a diminuire la tensione. Tanto da spingere Amnesty International a inviare 13 osservatori sul campo. Ciò che ha fatto molto discutere è l’utilizzo di forze speciali per sedare le manifestazioni.
Le SWAT sono le unità della polizia statunitense che dovrebbero essere utilizzate per operazioni anti-terrorismo o per il salvataggio di ostaggi. Nel 2013 l’Aclu, Unione americana per le libertà civili, denunciava la presenza all’interno delle forze dell’ordine cittadine di queste squadre speciali nate nel 1960. I suoi membri sono addestrati secondo tattiche militari ed equipaggiati con armamenti come pistole mitragliatrici, fucili d’assalto e di precisione.
Nel report dell’Aclu si legge che circa il 68 per cento delle azioni delle SWAT – 50mila ogni anno – sono rivolte contro membri di minoranze e non per compiti ad alto rischio, ma per casi di uso di sostanze stupefacenti.