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    L’Isis sfonda a Kobane

    L'avanzata dello Stato Islamico non si placa. Preso il comando curdo della città siriana. La coalizione non fa abbastanza

    Di Redazione TPI
    Pubblicato il 10 Ott. 2014 alle 21:13 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:44

    I miliziani dell’Isis oggi hanno continuato ad avanzare dentro Kobane, città nel nord della Siria sul confine turco, impadronendosi del quartier generale delle forze curde nonostante i raid della coalizione internazionale guidate dagli Stati Uniti.

    Si intensificano, per il momento senza risultati, le pressioni su Ankara affinché lasci passare combattenti e armi a sostegno dei miliziani che difendono la città.

    Lo Stato islamico, che ha cominciato la sua offensiva il 16 settembre, controlla ormai il 40 per cento della città, secondo l’ong osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus).

    I jihadisti sono ulteriormente avanzati oggi da est, conquistando anche il quadrato di sicurezza che ospita le sedi del comando delle milizie di autodifesa curde (Ypg) e il consiglio comunale.

    Secondo fonti locali contattate dall’Ondus, l’Isis ha impiegato anche un kamikaze che si è fatto saltare in aria a bordo di un camion bomba nei pressi della grande moschea, a ridosso del quadrato di sicurezza.

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    Nel frattempo continuano i bombardamenti del regime di Damasco contro i ribelli, di cui fanno le spese anche i civili. Almeno 21 persone, tra le quali un uomo, una donna e i loro quattro figli sono morti in un attacco nella provincia di Daraa, nel sud del Paese, secondo quanto riferito da testimoni oculari all’Ansa e dall’Ondus. Altri tre bambini sono stati uccisi a Telmins, nella provincia nord-occidentale di Idlib.

    In Turchia sono saliti a 30 i morti nelle violente proteste di piazza cominciate mercoledì in varie città del Paese, ma soprattutto nella provincia sud-orientale di Gaziantep, in segno di solidarietà alla popolazione curda di Kobane e contro la politica attendista del governo di Ankara che non accenna a intervenire militarmente per respingere le forze dell’Isis.

    Le proteste, secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, sono sostenute e organizzate dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che da 30 anni si batte per l’indipendenza dalla Turchia ed è considerato organizzazione terroristica non solo dal governo turco ma anche dagli Usa e dalla Ue. Le forze siriane dell’Ypg sono alleate del Pkk e proprio questo sembra il principale motivo per cui Ankara è restia a intervenire a loro sostegno.

    Oggi l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, si è unito alle voci che chiedono alla Turchia di lasciare almeno passare “volontari” curdi e armi al fine di “evitare un massacro” simile a quello avvenuto nel 1995 a Srebrenica. De Mistura ha sottolineato che circa 500-700 persone anziane e altri civili sono intrappolati a Kobane (il cui nome arabo è Ain al Arab). Se non si agirà, “noi tutti, e la Turchia, rimpiangeremo di aver perso l’occasione di fermare l’Isis”, ha avvertito l’inviato dell’Onu.

    Anche il segretario alla Difesa americano Chuck Hagel ha chiesto ad Ankara una maggiore partecipazione nella battaglia contro l’Isis, sottolineando che la Turchia potrebbe consentire agli aerei statunitensi di utilizzare le sue basi, oltre che addestrare ed equipaggiare i ribelli siriani non fondamentalisti.

    I raid aerei che la coalizione internazionale guidata dagli Usa ha continuato anche oggi contro l’Isis non sembrano sufficienti a impedire la caduta della città. Gli attacchi, sottolinea l’osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), non hanno impedito alle forze jihadiste di continuare a rifornirsi di munizioni, che arrivano da altre località della provincia di Aleppo e di Raqqa.

    Nelle ultime ventiquattro ore lo Stato islamico ha anche utilizzato motociclette per il trasporto del materiale bellico, più difficili da individuare per i jet della coalizione rispetto alle auto finora impiegate. Oggi, tuttavia, un gruppo di forze della sicurezza curde è riuscito a infiltrarsi sullo strategico altipiano di Mashta Nur, controllato dai jihadisti, uccidendone quattro.

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