A mezzo secolo dalla sua uscita, Spider-Man, il supereroe della Marvel dai poteri di ragno, è ormai assurto al ruolo di icona pop globale. Secondo molti, il punto di forza della creatura di Stan Lee e Steve Ditko starebbe nella sua “normalità”. Il suo alter-ego, Peter Parker, è infatti un giovane un po’ secchione alle prese con problemi non dissimili da quelli di un adolescente qualsiasi: una famiglia apprensiva, il desiderio d’indipendenza economica, un rapporto tormentato con le ragazze. L’identità ragnesca, con il suo contorno di zuffe e super-cattivi, diventa così solo un’ulteriore fonte di stress.
Il meccanismo dell’identificazione, però, spiega solo una parte del successo del personaggio. La potenza simbolica di Spider-Man è molto più profonda, tanto da farne una figura mitologica. E come ogni mito, Spider-Man è intriso di politica. La prima funzione di Spider-Man fu senza dubbio pedagogica. L’America degli anni Sessanta era un paese letteralmente terrorizzato dai giovani. In un momento in cui la Guerra Fredda imponeva l’accettazione acritica dei valori tradizionali americani, i figli del baby-boom ponevano una minaccia di destabilizzazione potenzialmente letale.
Automobili a basso costo e cinema drive-in furono i primi inneschi di quella promiscuità che sarebbe esplosa in libertà sessuale qualche anno dopo; il rock, con le sue icone trasgressive come Elvis “The-Pelvis” Presley, mandava in visibilio i giovani e scandalizzava i loro genitori; Marlon Brando e James Dean, interpretando teppisti e ribelli vari, completavano la galleria dei cattivi maestri. Nessun politico, però, aveva il coraggio di attaccare Hollywood, le grandi etichette musicali o tantomeno la Ford. L’agnello sacrificale, così, furono i fumetti.
Fino alla metà degli anni Cinquanta, i più popolari erano stati quelli della Entertaining Comics (EC), una casa editrice specializzata in storie dell’orrore, gialli truculenti e racconti in cui i criminali finivano sempre per farla franca. Denunciando la funesta influenza di tali letture sui giovani cervelli americani, il Senato aprì un’inchiesta contro la EC costringendola di fatto nel 1955 a limitare le sue pubblicazioni al genere umoristico.
Da quel momento, le case editrici di fumetti si sarebbero sforzate di fornire ai giovani modelli positivi che incontrassero il favore delle autorità. Spider-Man in tal senso è esemplare. E non tanto perché vestito da ragno combatte i cattivi e aiuta i buoni, ma perché la sua controparte Peter Parker è l’identikit del “bravo ragazzo” americano: studioso, occhialuto e così impacciato con le ragazze che l’idea che possa fare del sesso prematrimoniale è risibile. Spider-Man servì cioè a dimostrare che anche i secchioni possono essere cool.
Ma il mito di Spider-Man va al di là: oltre che parlare all’America, l’Arrampicamuri parla dell’America. Si potrebbe anzi dire che Spider-Man è l’America della Guerra Fredda. Le sue stesse origini sono eloquenti: Peter acquisisce i poteri dopo essere stato morso da un ragno radioattivo, andando così ad aggiungersi a quella schiera di supereroi “figli dell’atomo” – Hulk, i Fantastici Quattro- i cui poteri non sono altro che il simbolo dell’arsenale atomico statunitense.
Non stupisce che quegli stessi poteri siano considerati per certi versi un peso, una maledizione, una costante minaccia alla sicurezza dello stesso Peter e dei suoi cari. Come non stupisce che i nemici di Spider-Man spesso e volentieri diventino super-criminali proprio per un uso dissennato dell’energia atomica, o della conoscenza scientifica in senso lato: è da un incidente atomico che, in una delle prime storie, nasce il villain dalle braccia meccaniche Dottor Octopus, fisico nucleare miope, collerico – e di origini tedesche.
“With great power comes great responsibility” è il motto che Spider-Man adotta come linea d’azione dopo che la sua riluttanza a intervenire per fermare un ladruncolo finisce per provocare la morte dell’amato zio Ben. Quell’episodio lo spinge ad abbracciare il vigilantismo, l’interventismo contro qualsiasi minaccia all’ordine costituito. Applicata da un comune cittadino, l’idea sarebbe estremamente conservatrice. A un livello superiore, sembra il manifesto della New Frontier kennediana. Solo due anni prima, JFK aveva vinto una campagna elettorale scagliandosi contro un Eisenhower che era stato a guardare mentre Cuba si trasformava in una roccaforte comunista.
Da presidente, avrebbe organizzato l’invasione della Baia dei Porci e avrebbe posto le basi di quella che sarebbe diventata la dolorosissima Guerra del Vietnam. Anche se Saigon non è adatta ai suoi lanciaragnatele, si potrebbe giurare che Peter Parker avrebbe approvato quell’intervento. Quello che nacque cinquant’anni fa, insomma, fu la giustificazione ragnesca dell’egemonia americana, l’argomentazione fumettistica dell’ingerenza, una postilla variopinta al discorso dell’ “Asse del Male” di George W. Bush (anche se negli ultimi dieci anni di pubblicazione molti degli autori di Spider-Man sono liberal fortemente critici nei confronti di Bush).
E, infatti, all’indomani dell’Undici Settembre, non mancò un emblematico albo speciale in cui l’Arrampicamuri incitava il governo a punire i colpevoli. Un personaggio complesso, certamente, che nel corso degli anni è cambiato anche radicalmente, con cui i giovani americani e di tutto il mondo hanno imparato a confrontarsi. Ma ancor di più, un tizio vestito con i colori della bandiera americana che usa i suoi poteri atomici contro i cattivi. Nella sua chiarezza, quasi disarmante.
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