Kurt Cobain, nato il 20 febbraio 1967, è stato il leader dei Nirvana e uno degli eroi del movimento grunge. Dall’aprile 1994 è entrato a far parte della schiera di icone del rock morte in gioventù, come Jim Morrison, Jimi Hendrix e Janis Joplin prima di lui.
Il 20 febbraio è il giorno che ogni figlio degli anni ’90 ricorda ad ogni ricorrenza. Quel tragico aprile del 1994 genera ancora sensi di colpa e amarezza, perché l’immagine del suo braccio e della sua gamba distesi sul pavimento senza vita sono un monito per la sua intera generazione. Musicista timido, sensibile e furioso, nella sua insicurezza maledetta ha rappresentato la “teenage angst” degli anni ’90.
I Nirvana, nella schiera dei Mudhoney, dei Melvins, degli Alice in Chains e dei Soundgarden avevano creato un vero e proprio manifesto generazionale: una musica aggressiva, liriche disincantate e una totale avversione verso le convenzioni. Era il punk 2.0, quello lontano dagli eccessi di Sid Vicious e vicino al romanticismo dei jeans strappati e di un mondo che non corrispondeva un sentimento rimasto incompreso.
Kurt Cobain avrebbe compiuto 52 anni da portavoce, con un mondo che non smette mai di ringraziarlo per aver offerto una strada e per aver insegnato che l’odio è il sentimento più umanoide del mondo. Sì, perché essere morto così giovane dopo aver dato il tuo prezioso apporto alla discografia alternative-rock non ti rende immune dall’odio.
Nel 2002, otto anni dopo la morte del cantante, furono pubblicati i suoi diari, e tra quelle pagine c’era anche una lista scritta a mano da Kurt stesso, con una Top 50 dei Nirvana, la classifica dei suoi cinquanta dischi preferiti.
Al suo interno si possono trovare pietre miliari della musica alternativa come Raw Power degli Stooges, Daydream Nation dei Sonic Youth e The Man Who Sold the World di David Bowie, ma anche diversi dischi conosciuti solo dai più incalliti fan del rock.
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