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    Esclusivo TPI: “Cari italiani non illudetevi, la solidarietà della Cina è solo propaganda per esercitare un’influenza politica”. Parla Joshua Wong, leader delle proteste di Hong Kong

    Intervista TPI a Joshua Wong

    Joshua Wong, il leader delle proteste studentesche di Hong Kong, torna a parlare in esclusiva a TPI: lo fa con un video-messaggio in cui accusa il governo di Pechino di ipocrisia per la solidarietà verso l’Italia volta solo ad esercitare un’influenza politica. E lancia l'allarme sulle mascherine che la Cina invia all'estero: "I Paesi che le hanno ricevute rilevano che sono di materiale scadente"

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 2 Apr. 2020 alle 10:29 Aggiornato il 3 Apr. 2020 alle 14:31

     

    Parla Joshua Wong, leader delle proteste di Hong Kong: “Cari italiani non illudetevi, la solidarietà della Cina è solo propaganda politica”

    Joshua Wong, il leader delle proteste studentesche di Hong Kong (oggi al centro di una seconda ondata di casi di Coronavirus) torna a parlare in esclusiva a TPI: lo fa – una seconda volta – con un video-messaggio in cui accusa il governo di Pechino di ipocrisia per la solidarietà verso l’Italia, volta solo ad esercitare un’influenza politica. Per il giovane leader (qui un suo profilo), infatti, gli aiuti sanitari che la Cina sta inviando in giro per il mondo non solo fanno parte di un programma di propaganda politica, ma – nel caso delle mascherine inviate all’estero – sono talvolta anche di materiale scadente. Milioni di mascherine che, secondo quanto denunciato dai Paesi che le hanno ricevute, non superano gli standard di qualità, e che le aziende cinesi utilizzano per arricchirsi a spese della salute altrui. In Italia ne stanno arrivando milioni, e solo alcune sotto forma gratuita e solidale, oltre a ventilatori polmonari, tute speciali, guanti e occhiali protettivi e anche alcune erbe medicinali cinesi. In cima all’articolo trovate il suo video-messaggio in esclusiva per TPI, e qui di seguito le domande e risposte in una intervista che ci ha rilasciato.

    La solidarietà cinese nei confronti dell’Italia è pura ipocrisia politica. La “diplomazia delle mascherine” fa parte della campagna di propaganda cinese che Pechino sta attuando all’estero, con lo scopo di esercitare in futuro un’influenza politica. La Cina vuole riscrivere la storia del Coronavirus, cercando di far passare in secondo piano la provenienza del virus e dipingendo Pechino come un eroe globale che dispensa aiuti sanitari all’estero. Ma, soprattutto, cosi facendo, la Cina vuole imporre la propria superiorità sulle democrazie occidentali. Questa strategia è legata al culto personale del presidente cinese Xi Jinping, la cui autorità è stata messa a dura prova dall’epidemia. Per mantenere alta la reputazione del suo presidente, e cancellare la brutta immagine della Cina, i media di Stato cinesi come Global Times, Cctv e Xinhua, nelle ultime settimane sono stati impegnati a dipingere la Cina come un eroe mondiale nella lotta al virus. Gli aiuti all’Italia rientrano nell’ambito di un piano ben più grande.

    L’industria delle mascherine oggi è una vera e propria macchina da soldi. Solo nei primi mesi dell’epidemia, infatti, si stima che quasi 9mila nuovi produttori abbiano iniziato a realizzare mascherine. Alcuni di loro sono proprietari di fabbriche di abbigliamento, oggi riconvertite. Questo dimostra che l’invio di mascherine all’Italia da parte di Pechino non è da considerarsi un atto di generosità, ma un modo per allentare la pressione economica interna alla Cina. Del resto l’industria manifatturiera dell’export cinese è ancora pesantemente colpita dalla crisi economica causata dalla pandemia. E così i proprietari delle fabbriche cinesi si affidano all’esportazione di mascherine per sopravvivere.

    Tuttavia, l’industria delle mascherine non è equiparabile a qualsiasi altro settore dell’economia: qui c’è in ballo una questione di vita o di morte. E la maggior parte delle mascherine inviate dalla Cina sono state definite, da chi le ha ricevute, scadenti. L’80 percento dei 300 mila test per il Covid-19 che la Repubblica Ceca ha ordinato dalla Cina ha dato risultati scorretti, sia positivi che negativi. Il governo spagnolo, invece, ha acquistato 640mila test rapidi, ma le prime 9mila unità testate non hanno superato lo standard di qualità, riportano il Guardian e El País, con un’affidabilità solo del 30 percento, quando dovrebbe superare l’80. Lo stesso problema è stato riscontrato nei test ricevuti dalla Turchia, dove il margine di errore era troppo alto, con il rischio di creare falsi negativi. Mentre nei Paesi Bassi l’agenzia NOS ha riportato che 600mila degli 1.3 milioni di mascherine FFP2 acquistate dalla Cina avevano una potenza filtrante ben più bassa di quella dichiarata. Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Spagna e Turchia hanno tutti rilevato che mascherine e kit fabbricati in Cina non soddisfacevano gli standard di sicurezza richiesti. In altre parole, i produttori di mascherine cinesi si stanno arricchendo a spese della salute degli altri.

     

     

    Il numero delle vittime da Coronavirus a Wuhan è senz’altro superiore ai dati ufficiali diffusi governo. Le autorità cinesi hanno cercato in tutti i modi di mantenere al più basso livello possibile il numero dei casi confermati. E per farlo, oggi, gli ospedali cinesi negano l’accettazione di nuovi pazienti e si rifiutano di fare i tamponi. Coloro che sono sulla via di guarigione, invece, sono costretti a terminare il trattamento prima del previsto. Si stima che oggi vi siano almeno 43 mila asintomatici, portatori silenziosi di Coronavirus, contagiosi tanto quanto quelli con sintomi.

    Per non parlare del fatto che i social media cinesi come WeChat hanno completamente censurato i contenuti relativi alla pandemia, mentre i media locali sono sotto costante pressione statale per riportare notizie solo positive. Questa è una “terapia politica”, non medica. Se la prima ondata di Coronavirus ha visto l’incarcerazione dei medici che per primi hanno lanciato l’allarme riguardo al virus, la censura politica cinese oggi potrebbe nascondere una seconda ondata di epidemia.

    Proprio mentre gli occhi del mondo sono tutti puntati sull’emergenza Coronavirus, ad Hong Kong le truppe di Pechino sono state silenziosamente raddoppiate. La Cina si sta preparando a reprimere eventuali proteste future. Oggi la pandemia colpisce Hong Kong: e la gente si concentra di più sulla ricerca di mascherine. Ma non uccide il movimento, anzi, lo alimenta dalla base. Secondo un recente sondaggio di Reuters infatti, il sostegno alle richieste dei manifestanti è cresciuto e sempre più persone chiedono le dimissioni della governatrice: siamo passati dal 57 percento della popolazione a dicembre, al 63 percento a marzo.Una volta che l’epidemia rientrerà, la gente tornerà nelle strade a protestare.

    Approfondimento: “Il nostro Paese acquista, non riceve in dono, i dispositivi medici che arrivano da Pechino. E metà degli utenti che nelle scorse settimane hanno retwittato l’hashtag #ForzaCinaeItalia sarebbero account falsi che svelano la strategia del Partito Comunista Cinese di influenzare l’opinione pubblica e i leader politici europei”. [Leggi di più]

    * Ha collaborato all’articolo Angelica Pansa

    “Io sono Joshua Wong: arrestato 8 volte, bloccato nel mio paese e perseguitato dalla Cina”: Giulio Gambino ha intervistato in esclusiva a Hong Kong il volto internazionale delle proteste contro Pechino: “Esorto il governo italiano a non allearsi con la Cina”

    “Io sono Joshua Wong, sono stato messo in galera tre volte. E adesso sono ancora sotto processo. Spero che un giorno Hong Kong possa essere proprio come l’Italia – un posto dove ci sono libertà, diritti, democrazia”. Il direttore di TPI Giulio Gambino è stato a Hong Kong e ha intervistato Joshua Wong, il protagonista delle proteste che infiammano l’ex colonia britannica.

     

    Joshua Wong siamo qui in un posto speciale, un posto dove sono iniziate e dove si sono svolte le proteste di Hong Kong

    “Con la crisi umanitaria e la repressione delle proteste in corso sotto la dura gestione del presidente Xi Jinping, è tempo per noi hongkonghesi di continuare la nostra difficile battaglia. Sono stato arrestato otto volte, sono stato in prigione tre volte. Proprio qui fuori dal quartiere generale del governo di Hong Kong sono stato fermato dalla polizia per la prima volta. Ma questo non fa che rendermi più forte e determinato”.

    Sei stato invitato in Italia alla conferenza della Giangiacomo Feltrinelli e poi alla conferenza organizzata presso il Senato della Repubblica a cui tuttavia però non hai potuto partecipare perché non hai ricevuto il permesso di espatrio. Come ti ha fatto sentire questo? E cosa pensi che indichi?

    “Il governo e la Corte Suprema di Hong Kong mi hanno impedito di viaggiare al di fuori del paese solo perché sono perseguitato dal regime cinese. Tutto questo è irragionevole e folle, perché così ignorano il mio diritto fondamentale di libertà di movimento. Ma anche se mi hanno proibito di viaggiare all’estero resto comunque la voce di Hong Kong più ascoltata dalla comunità internazionale”.

    Tu non sei potuto venire in Italia così siamo venuti noi da te. Allora ti chiedo: hai detto nel corso della conferenza e lo hai ripetuto anche a me prima. Dici che l’Italia pecca molto sulla tutela dei diritti umani. Non solo, hai anche criticato ampiamente il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio

    “Dopo che il governo italiano ha firmato il Memorandum Italia-Cina, mi preoccupa profondamente la possibilità che gli italiani possano mettere gli interessi economici e i trattati commerciali con la Cina davanti ai diritti umani. Sono pienamente consapevole e capisco che si debba comunque interagire con il governo cinese, ma considerato quel che sta succedendo a Hong Kong, dove la Cina interferisce per ottenere vantaggi economici, esorto il governo italiano e i politici a stare attenti: niente è gratis a questo mondo”.

    Nello specifico tu accusi non solo l’Italia, ma anche diversi paesi europei di essere stati messi sotto il controllo del partito comunista cinese. E dici anche che Pechino di fatto fa i suoi interessi esportando un tipo di democrazia illiberale e soprattutto investendo milioni e milioni in infrastrutture, porti, tanti progetti che sono volti all’influenza da parte della Cina nella politica e nell’economia estera di quegli stessi paesi, tra cui appunto l’Italia

    “Sono fortemente deluso dal fatto che il governo italiano abbia permesso l’esportazione di armi verso la polizia antisommossa di Hong Kong. Penso che l’Italia non debba essere alleata della repressione a Hong Kong”.

    Hai conosciuto di persona il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio?

    “Sarebbe fantastico poter incontrare il ministro degli esteri italiano ma prima, il governo di Hong Kong deve permettermi di viaggiare all’estero”.

    Che cosa ti sentiresti di dirgli oggi al ministro degli Esteri Luigi Di Maio?

    “Ci sono cinquemila persone arrestate, 500 persone – tra cui io – sotto accusa. Non solo manifestanti, ma anche medici e infermiere arrestate con l’accusa di fomentare i disordini. Ci sono stati casi di giovani manifestanti donne che sono state stuprate nelle stazioni di polizia dalla polizia antisommossa stessa, alcune di loro sono anche rimaste incinte. Penso che ci sia già una crisi umanitaria e quindi il mio messaggio al ministro degli Esteri italiano è questo: non alleatevi con Pechino nel reprimere le proteste”.

    Ma perché ti rivolgi nella fattispecie proprio al ministro degli Esteri Luigi Di Maio?

    Luigi Di Maio è quello incaricato degli affari internazionali. Ecco perché voglio incontrare proprio lui. Ovviamente poi ho partecipato alla seduta al Senato italiano – così come ho viaggiato anche in Germania, negli Stati Uniti e Taiwan a settembre. Chiaramente un’altra ragione è il fatto che l’Italia ha firmato il Memorandum Italia-Cina”.

    Diversi ufficiali cinesi tra cui anche alcuni ambasciatori hanno apertamente criticato parlamentari anche in Italia per avere manifestato interesse verso la causa di Hong Kong tanto per intenderci e addirittura per avere ospitato la tua conferenza. Questo non è successo solo in Italia ma anche in altri paesi tra cui la Germania e la Svezia. Come ti senti di commentare questi fatti?

    “Stare a fianco dei manifestanti di Hong Kong è una buona idea per i politici italiani – specialmente perché noi stiamo chiedendo soltanto delle libere elezioni. Speriamo di poter votare per eleggere il nostro governo. Il capo dell’amministrazione di Hong Kong dovrebbe essere eletto dai cittadini di Hong Kong. Per l’Italia confrontarsi con le critiche dell’ambasciata cinese nonostante le nostre richieste siano tanto basilari è una pazzia irragionevole. Mostra soltanto come la Cina non abbia alcun rispetto verso la democrazia e i valori liberali”.

    Il garante politico del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo ha incontrato per ben due volte l’ambasciatore cinese in Italia. Si sono incontrati e hanno sostanzialmente detto che la questione dello Xinjiang non è così grave, non è così come la descrivono altri giornalisti su alcune testate internazionali creando una possibile spaccatura interna con quello che è il suo partito di coalizione al governo, ovvero il Partito Democratico

    “Sostenere Hong Kong, non è una questione di destra o sinistra, ma è una questione di giusto o sbagliato. Con simili affermazioni e narrative da parte del movimento 5 stelle, la mia risposta è “i fatti dicono più delle parole”. Il parlamento italiano può passare una risoluzione per supportare la democratizzazione di Hong Kong. Dobbiamo cercare supporto per i manifestanti di Hong Kong in tutto l’arco parlamentare e lottare per libere elezioni. Per quanto riguarda invece la descrizione e la comprensione della realtà dei campi di rieducazione nello Xinjiang, sono piuttosto deluso perché è chiaro che Pechino è una minaccia non soltanto per Hong Kong o Taiwan ma anche per altre parti della Cina continentale e per posti distanti come l’Italia. Nonostante le nostre differenze storiche e culturale, crediamo tutti in dei valori condivisi e universali: la libertà e la democrazia”.

    Ma non ti fa strano che il caso Joshua Wong sia emerso con così tanta veemenza in Italia, proprio nel momento in cui due partiti politici di maggioranza, Pd e Movimento 5 Stelle, litigano su un fatto di politica estera sulla quale non c’è visione alcuna

    “Non è il primo caso: è già successo in altri paesi. L’unica cosa su cui ci concentriamo ad Hong Kong. Speriamo che i diversi partiti politici in Italia si accorgano che è tempo di prendere una posizione di politica estera nei confronti della Cina e di Hong Kong. Io credo che anche soltanto tre anni fa, nessuno in Italia avesse idea di quanto stesse succedendo ad Hong Kong. Ma con un movimento di protesta scoppiato lontano, in Asia, è tempo che riconsiderino seriamente le proprie posizioni per sostenere i manifestanti a Hong Kong”.

    Ma c’è un politico italiano che ti piace?

    “Io non sono il genere di persona che sostiene o celebra qualsivoglia campagna elettorale a favore di un particolare candidato, ma spero che ogni politico italiano riesca a capire e spiegare cosa stia succedendo a Hong Kong con il fallimento dell’idea di un paese-due sistemi”.

    Puoi spiegare un po’ più nel dettaglio la questione della Via della Seta e come l’influenza della Cina stia avvenendo oggi in Italia?

    “L’Italia dovrebbe prendere esempio da quanto è successo a Hong Kong. Nel secolo scorso, Hong Kong era sotto al controllo del Regno Unito ed era una delle città coloniali. Più tardi, dopo il passaggio di potere alla Cina, abbiamo cominciato a vedere attivisti imprigionati, rappresentanti eletti democraticamente venire spodestati, giornalisti stranieri venire espulsi, persino un editore che è stato rapito da Hong Kong e portato nella Cina continentale. E con l’influenza del governo cinese in Italia, Sappiamo che la questione del 5G e Huawei che vengono ampiamente discusse in Europa e iniziative come il memorandum Italia-Cina fanno parte delle strategie e delle tattiche che Pechino impiega per approfittarsi economicamente degli altri paesi e inoltre per estendere il proprio soft power, per esempio aprendo nuove università all’estero. Per spargere valori autoritari che non rispecchiano la visione del mondo di chi crede alla libertà”.

    Non hai mai davvero chiarito l’aspetto della leadership

    “Io non sono un leader del movimento per la democrazia ad Hong Kong. Non posso di certo rappresentare oltre due milioni di persone che partecipano alle proteste, ma quello che posso fare è essere uno delle centinaia che aiutano il movimento facendo sì che le voci della gente di Hong Kong vengano ascoltate dalla comunità internazionale. Quello che intendo è che non sono un comandante, non chiedo che i manifestanti mi ascoltino e mi seguano, ma sono solo uno dei tanti attivisti che sperano di poter aiutare il movimento”.

    Ma il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump sembra piacerti. Nei giorni scorsi è uscita una notizia sul movimento della protesta di Hong Kong che sostiene lo slogan “Let’s Make Hong Kong Great Again”. Quindi da questo punto di vista Trump è una figura che può unirsi alla sfida della protesta di Hong Kong?

    “Io non ho mai usato questo slogan. Hong Kong Human Rights and Democracy Act è stato firmato dal presidente americano Trump due settimane fa, ma può essere reciso in qualsiasi momento e i diritti umani non possono essere surclassati da trattati commerciali”.

    Le proteste di Hong Kong in tutta la loro narrazione sono sempre state imperniate sul dibattito “Cina Sì – Cina no”. Ma il movimento delle proteste a Hong Kong ha molto più a che vedere con alcuni aspetti sociali, economici che toccano profondamente e da vicino la società hongkonghese

    “I cittadini di Hong Kong stanno combattendo per arrivare a elezioni libere, noi speriamo di poter eleggere il nostro governo. Ma Hong Kong è sotto il pugno di ferro di Pechino, ovviamente il fatto che gli hongkonghesi possano o meno un giorno godere della democrazia dipende dal governo cinese. È una domanda a cui il presidente Xi deve rispondere sì o no. Hong Kong si merita la democrazia e delle elezioni libere – oppure no? Sì o no?”.

    Ma quindi questa questione che Di Maio e Grillo si sono in qualche modo schierati a favore della Cina o comunque non contro la repressione e violenza da parte di Pechino nello Xinjiang e quindi nemmeno a favore dei diritti liberali e civili dei movimenti di protesta come questo di cui tu fai parte a Hong Kong. Cosa dimostrano? Un’ipocrisia?

    “Magari Pechino non ha mai fatto niente di male in Italia. Ma l’Italia ha già esportato armi destinate alla polizia antisommossa alleata con Pechino, e quindi visto che credo che le azioni dicano più delle parole, è tempo che il governo italiano la smetta con le esportazioni e mostri una posizione forte a favore della democratizzazione di Hong Kong”.

    Perché stanno sbagliando i politici italiani? In che modo Grillo e Di Maio non vedono giusto e non vedono bene le proteste di Hong Kong?

    “Da oltre dieci anni, i leader mondiali hanno notato la crescita del modello cinese, legato ai suoi valori autoritari. Anche se le persone ne conoscono il lato oscuro, sperano comunque di poter diventare amiche della Cina. Questo include anche alcuni politici italiani. Ma con l’enorme espansione del loro potere, con le torture e la crisi umanitaria nello Xinjiang e con le continue proteste dei cittadini di Hong Kong nonostante sia una città finanziaria ben sviluppata, penso sia tempo che il governo italiano impari una lezione. Che si accorgano che non possono più girarsi dall’altra parte rispetto a quanto sta succedendo a Hong Kong e in Xinjiang”.

    Lancia tu un messaggio ai nostri politici italiani e a Di Maio e Grillo e chiedi loro esattamente quello che nel concreto vorresti che facessero

    “Le persone di Hong Kong lottano per delle elezioni libere da più di tre decadi. Questo è un diritto fondamentale che gli italiani possono vantare da quasi un secolo. Chiediamo soltanto un cambiamento fondamentale di cui voialtri potete godere da decenni. Davanti a una strada così in salita, esorto il governo italiano e il parlamento a non allearsi con Pechino, facendo amicizia con un tale regime comunista. È tempo di smettere di esportare armi antisommossa e mettere in piedi un meccanismo di sanzioni verso i poliziotti e gli ufficiali governativi di Hong Kong che abusano del loro potere causando una crisi umanitaria. Io sono Joshua Wong, sono stato messo in galera tre volte. E adesso sono ancora sotto processo. Spero che un giorno Hong Kong possa essere proprio come l’Italia – un posto dove ci sono libertà, diritti e democrazia”.

    Ma quindi a questo punto se un’altra forza politica che non fosse il Movimento 5 Stelle venisse invece a dirti che crede fortemente nella protesta di Hong Kong. Tu Joshua Wong saresti pronto ad ascoltarli e a raccontare quali sono le tue sfide e le tue battaglie?

    “Hong Kong accoglie tutti i politici italiani, che siano al governo o al parlamento, che mostrino il proprio supporto e sostengono Hong Kong nella sua lotta per la libertà. È tempo che il governo italiano riveli la propria posizione rispetto alla Cina e Hong Kong”.

    Qual è la tua vita al di fuori dell’attività politica a Hong Kong? Cosa fa nel tempo libero Joshua Wong?

    “Quando soffriamo una crisi umanitaria, venendo arrestati, torturati, processati e mandati in prigione, possono davvero le giovani generazioni godersi la propria vita personale? Ne dubito”.

    “Leader ci sarete voi”. Sono diversi oggi i giovani alla ribalta: da Rami a Mattia, passando per Greta e Joshua Wong. Sono tutti nati prima prima del 1980 ma nessuno di loro vuole definirsi leader (di Giulio Gambino)

    Quando ho incontrato per la prima volta Joshua Wong, animatore delle proteste che infiammano Hong Kong da diversi mesi ormai, mi ha colpito la sua determinazione, il suo sguardo sul mondo, la sua maturità e la sua lucidità.  Joshua Wong è nato nel 1996. È senza ombra di dubbio uno fra i più giovani volti che oggi calca il proscenio internazionale della politica.

    Quando ho incontrato per la prima volta Mattia Santori, il portavoce del movimento delle sardine, sono rimasto anche in quel caso profondamente colpito dalla sua maturità e dalla sua lucidità; impressionato da come Santori avesse ben chiara quale fosse la sua visione delle cose, e anche come la politica dovesse cambiare secondo lui.

    Per un movimento nato poche settimane prima, l’idea espressa da Mattia Santori stupisce per lucidità e visione quasi come se quel germe emerso nelle piazze delle sardine covasse da mesi, addirittura anni, nella mente del giovane bolognese e in quella di altri della sua stessa età.

    Ma – alcuni dicono – “le sardine non hanno alcuna idea, alcuna visione, alcuna strategia”. A coloro che pensano che il movimento di Santori o quello delle proteste di Hong Kong siano fenomeni sempre e solo anti-qualcosa e mai pro-qualcosa voglio dire che non riescono a comprendere che entrambi sono fenomeni di protesta, è vero, ma anche profondamente costruttivi e riformatori.

    Non è vero, tanto per essere chiari, che Mattia Santori e le sardine sono solo ed esclusivamente contro Matteo Salvini e non è vero che il loro movimento, così come quello di Hong Kong in senso lato, sia un movimento scorbutico volto solo ad annientare quanto di buono (poco o tanto che sia) venga già fatto dalla classe dirigente attuale, quasi fosse necessario annullare una generazione politica legata al passato solo in quanto tale.

    Al contrario il movimento delle sardine ha espresso proprio nella complessità della società odierna uno dei suoi principi fondatori, nel tentativo di riformare in senso critico lo spirito civico del cittadino rimettendo così al centro l’importanza del voto, tanto bistrattato negli ultimi anni. Ne abbiamo parlato proprio con Santori in un’intervista che potete trovare a questo link.

    Sono diversi oggi i giovani leader alla ribalta, e noi ne avevamo parlato proprio lo scorso aprile in questo articolo: da Rami a Mattia, passando per Greta e Joshua Wong. Sono tutti nati prima prima del 1980 e hanno una capacità di comunicare che i leader di oggi si sognano appena.

    Parlano da giovani a un mondo di loro coetanei che non trova rappresentanza alcuna pressoché in nessun parlamento della faccia della terra. Una cosa però colpisce: è ricorrente e comune a tutti questi giovani volti, ed è l’idea che ciascuno di essi non ha la benché minima idea di definirsi leader, di ergersi a capo popolo del movimento che rappresenta.

    È questa una dinamica in netto contrasto rispetto a quella a cui per anni eravamo stati abituati: un uomo, di nome e di fatto, leader solo al comando. I giovani protagonisti delle piazze che infiammano il mondo, benché assolutamente consapevoli dell’importanza di essere fonte di ispirazione per una generazione allo sbaraglio priva di ogni diritto (e soprattutto di lavoro), mostrano una naturale opposizione alla leadership, quasi fosse una cosa da scongiurare e da evitare a tutti costi.

    Non sappiamo il motivo di questa scelta ma colpisce che sia un comune tratto distintivo della propria comunicazione politica contemporanea. Non credo lo facciano perché non vogliano assumersi una responsabilità o perché non abbiano coraggio, altrimenti non avrebbero mai portato avanti un movimento così fortemente in contrasto rispetto alla politica di questi giorni.

    Eppure è da notare il fatto che, sempre più spesso, giovani donne e uomini – uniti intorno a un obiettivo comune, una lotta comune, una causa comune – assumono insieme un valore intrinsecamente più forte. La folla e non il singolo.

    Ci auguriamo, certo, che la battaglia di questi giovani possa avere un futuro roseo. Il pluralismo del pensiero è forse uno fra gli elementi che più sono mancati alle classi dirigenti. Ma non conosciamo finora società che nella storia siano durate a lungo senza un leader.

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