“Rivedere le persone in strada è stato stupendo. Mi sono sentita di nuovo viva. La prima cosa che ho fatto finita la quarantena è stata uscire per prendermi una birra in un locale con i miei amici”. Enza Migliore, 35 anni, originaria della provincia di Salerno trasferitasi a Shanghai per lavoro a gennaio, quando tutto ebbe inizio, racconta a TPI la vita in Cina che sta tornano alla normalità grazie al rallentamento dell’epidemia.
Come molte persone Enza, ricercatrice nel campo del design, ha trascorso oltre un mese in isolamento imposto dal governo centrale nel tentativo di contenere i contagi da Covid-19. Dopo quasi tre mesi dal primo focolaio scoppiato a Wuhan, oggi è il secondo giorno consecutivo che nel continente non sono stati registrati nuovi casi di contagio. A Shanghai stanno riaprendo le scuole, i negozi, i ristoranti, i bar, i musei, i cinema e le persone tornano a passeggiare per le strade della città. La Cina oggi mostra al mondo com’è il post lockdown e come si torna a vivere dopo il lungo isolamento domestico. E’ come un balzo nel futuro per noi italiani.
“A Shanghai il momento cruciale è stato dal 20 gennaio fino almeno al 20 febbraio. E’ stato un mese molto rigido. Non si usciva di casa. Shangai conta oltre 27 milioni di abitanti e ha avuto pochi casi di contagi e soltanto tre decessi. Come fosse quasi mezza Italia , oggi ricominciano a uscire. Qui c’è stato un rispetto totale delle regole e delle misure da parte dei cittadini”, ci spiega Enza.
“Quando è stata annunciata l’emergenza si sono tutti auto isolati per tutelare se stessi e gli altri. Tutti chiusi in casa, gli unici che ogni tanto uscivano eravamo noi, gli stranieri occidentali. Io sono stata praticamente rinchiusa per un mese e sono uscita solamente per comprare l’acqua, per fare la spesa necessaria e per portare a spasso il cane ma solo nel compound vicino. E’ questione di buonsenso che qui lo si può applicare, perché i cinesi stavano chiusi in casa. Nessuno di loro usciva. Non li incontravi mai per strada”.
Enza ci racconta infatti che si è sentita più sicura proprio quando ha visto i cittadini cinesi passeggiare all’aperto. “E’ stato bello tornare alla vita di tutti i giorni. E’ bello soprattutto vedere di nuovo la gente in giro. Mi sono resa conto che era finita l’emergenza quando ho visto i primi cittadini cinesi in giro, a quel punto mi sono sentita più rilassata”.
“In Cina conta molto di più la collettività del singolo”, dice a TPI. In Italia, invece, i governatori delle regioni più colpite vogliono imporre misure ancora più restrittive ai cittadini, perché sono ancora molti gli italiani che non rispettano la raccomandazione di restare a casa. Secondo Enza quello italiano è un atteggiamento “tipico della nostra società occidentale dove la libertà individuale viene prima di tutto. Qui in Cina c’è un regime ed è comunque un un altro mondo. Questo vale anche per il Giappone dove ho vissuto per due anni. In Cina la collettività viene prima di tutto e viene anche prima l’ordine dall’alto. Noi italiani, invece, non siamo abituati. Credo che per migliorare dovremmo semplicemente ristabilire un po’ di unione e di senso comune e civico. Perché non siamo delle bestie, sono normali alcuni comportamenti ma è importante anche arrabbiarsi con chi non capisce che esiste una comunità da proteggere”.
A Shanghai i cittadini stessi applicavano comportamenti fortemente restrittivi precauzionali autonomamente. “La Cina ha un altissimo controllo sulla popolazione, il governo sa dove qualsiasi persona si trova in ogni istante. C’è anche questo da dire. Ma è sicuramente un popolo abituato alle regole, abituato all’attenzione collettività, alla comunità. C’è rispetto per l’altro. Sono abituati alla mascherina. L’allerta è finita ma la mascherina ce l’abbiamo tutti a Shanghai perché è più una questione di rispetto verso l’altro, di non creare panico e agitazione”, continua.
La situazione oggi è diversa. “Ci sono ancora delle restrizioni e i luoghi pubblici più affollati sono ancora chiusi. Come anche i locali notturni, però bar, ristoranti, musei e scuole stanno riaprendo. Negli spazi pubblici come i musei che sono molto grandi e che possono quindi affollarsi facilmente c’è per tutti l’obbligo di registrarsi tramite app obbligatorio. Per entrare in luoghi pubblici devi scannerizzare il Qr code tramite Alipay o Wechat e loro registrano automaticamente i tuoi dati. Qui è tutto molto digitale. Persino la persona di 80 anni qui ha lo smartphone con le app e fa tutto online. Anche l’anziano paga con l’app digitale”, ci spiega.
Enza ci spiega che in Cina la quarantena non è stata vista come una restrizione ma come una misura utile per il bene la collettività. “Noi italiani siamo molto abituati alla fisicità, ma essere uniti non vuol dire darsi la pacca sulla spalla. Essere uniti vuol dire sentirsi parte di un gruppo, di una comunità, di una grande famiglia estesa. Non è baciarsi, abbracciarsi. I cinesi sono una comunità e sanno che non sono il singolo: sono noi, non io”.
Agli italiani che in questi giorni sono chiusi in casa Enza lancia un messaggio di solidarietà e speranza: “Siamo così piccoli di fronte a questa emergenza che non mi sento proprio di dare consigli. Ma una cosa la voglio dire: pensate più agli altri e meno a voi stessi. State calmi, in pace e di non stressatevi. Qualsiasi cosa ci stressa se non la scegliamo noi in piena e totale libertà tutto ciò che ci viene imposto è così. Però la nostra libertà si sa non viene sempre prima di quella degli altri”.
“Da questa esperienza ho capito che siamo fragili e vulnerabili. Il nostro sistema che credevamo impeccabile ha in realtà tante pecche ma dobbiamo sempre essere pronti. Pronti anche a cambiare le nostre abitudini se necessario”.
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