Israele: impasse di governo e incriminazione di Netanyahu per corruzione
In Israele sono giorni caotici: da un lato l’impossibilità di formare un governo a oltre due mesi dalle elezioni, dall’altra l’incriminazione per corruzione del premier Benjamin Netanyahu. In mezzo una serie di altri eventi minori che stanno destabilizzando, e dividendo il paese.
La decisione del procuratore Avichai Mandelblit di incriminare il primo ministro dello stato ebraico arriva in un momento delicatissimo per il paese. I tentativi da parte di Benny Gantz, vincitore – di misura – delle elezioni del 17 settembre e dello stesso Netanyahu, di dare un governo al paese sono naufragati. Nella giornata di ieri il presidente della Repubblica Reuven Rivlin ha informato il presidente della Knesset, Yuli Edelstein, del fallimento di Benny Gantz nel formare il governo e ha ricordato che secondo la legge, il compito di costituire un nuovo esecutivo passa ora nelle mani del parlamento.
Si tratta di una circostanza insolita per il paese, dal momento che non si era mai giunti a una impasse del genere.
I parlamentari della Knesset avranno adesso 21 giorni per tentare di convergere sul nome di uno di loro. Se ci sarà l’appoggio di almeno 61 deputati a un membro del parlamento, quest’ultimo sarà incaricato di formare un governo. Se anche questa strada dovesse fallire, sarà necessario indire nuove elezioni, che a quel punto sarebbero le terze in un anno, dopo la tornata del 9 aprile e quella del 17 settembre (qui un articolo di TPI che approfondisce la questione).
L’incriminazione di Netanyahu e le reazioni
Nella giornata di giovedì 21 novembre il premier è stato ufficialmente incriminato per corruzione, abuso d’ufficio e frode, in seguito a tre inchieste note come caso 1000, caso 2000 e caso 4000. Non era mai accaduto, nella storia di Israele che un premier in carica venisse accusato di corruzione. A questo link abbiamo spiegato nel dettaglio cosa riguardano le tre inchieste.
Commentando le accuse del procuratore generale Mandelblit, Netanyahu ha detto: “C’è un tentativo di ribaltamento di potere nei confronti del primo ministro. Io ho molto rispetto per la magistratura ma bisogna essere ciechi per non vedere che lì succede qualcosa di non buono”. Netanyahu sostiene inoltre che la decisione di Mandelblit è resa nota in un “momento politico delicato di Israele” e questo dimostra “quanto questo processo sia influenzato da considerazioni estranee”, riferendosi all’impasse di formare il governo.
Il giorno dopo l’annuncio dell’incriminazione del premier Benyamin Netanyahu i laburisti hanno organizzato una manifestazione per chiederne le dimissioni davanti il quartier generale del Likud a Tel Aviv.
I laburisti hanno chiesto al Likud, il partito del premier, “di avere pietà di Israele” e premere su Netanyahu affinché si dimetta in modo da evitare una terza elezione che, allo stato attuale delle cose sembra essere lo scenario più probabile.
A destra invece si continua a sostenere il premier: il ministro degli esteri, Israel Katz, figura chiave del Likud, ha espresso appoggio a Netanyahu e che non c’è ragione perché si dimetta.”Israele è uno stato di diritto e la presunzione di innocenza vale per ogni persona e certamente per il premier”, ha detto.
Enigmatico il commento del leader centrista Benny Gantz, maggiore rivale di Netanyahu, che alle elezioni del 17 settembre scorso lo aveva battuto di pochissimo. “Un giorno triste per lo stato di Israele”, ha scritto su Twitter Gantz.
Nella serata è arrivato anche il commento dello stesso procuratore Mandelblit: “È una giornata dura e triste per il popolo israeliano e per me personalmente. Ho deciso con cuore pesante, ma in piena coscienza. Questo era il mio dovere di fronte ai cittadini di Israele”, ha detto il magistrato.
Netanyahu governa il paese dal 2009, venendo eletto 4 volte primo ministro. Ha governato dal 1996 al 1999 e poi di nuovo dal 2009 a oggi. A luglio di quest’anno è divenuto il premier più longevo della storia di Israele, con 13 anni al potere, battendo i 4876 giorni di David Ben Gurion, il primo premier del paese dopo l’indipendenza.
La questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania
Mentre Israele vive un periodo particolarmente delicato per via dell’incriminazione di Netanyahu e dell’impasse sul governo, è arrivata una dichiarazione dell’Onu per ribadire che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali e violano il diritto internazionale.
“La nostra posizione sugli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati è chiara e rimane invariata: tutte le attività di insediamento sono illegali ai sensi del diritto internazionale e deteriorano la fattibilità della soluzione dei due stati e le prospettive di una pace duratura”, hanno detto in una dichiarazione congiunta i membri Ue del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
La presa di posizione delle Nazioni Unite arriva dopo la dichiarazione di Donald Trump secondo cui per gli Usa le colonie non sono più contrarie al diritto internazionale. “La decisione del governo degli Stati Uniti è probabilmente l’ultimo chiodo nella bara della soluzione a due Stati”, ha detto il rappresentante speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi, Michael Lynk.
Lynk ha condannato la decisione degli Stati Uniti, sostenendo che si scontri con il diritto internazionale: ”Questo non è un passo verso la pace o la giustizia nel conflitto israelo-palestinese. È una rottura decisiva con il consenso internazionale che non farà che rafforzare l’occupazione israeliana per sempre. Permetterà al governo israeliano di annettere formalmente gran parte della Cisgiordania occupata, come ha già fatto per Gerusalemme Est e non farà che confermare la realtà di uno Stato caratterizzato da un rigido sistema a due livelli di diritti legali e politici, basato sull’etnia e sulla religione. Situazione che soddisferebbe la definizione internazionale di apartheid”, ha detto.
Sul tema è intervenuto anche il portavoce dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet. “Un cambiamento nella posizione politica di uno Stato non altera il diritto internazionale esistente, né la sua interpretazione da parte della Corte internazionale di giustizia e del Consiglio di sicurezza”, ha detto invece il portavoce dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet. Attualmente, ricorda l’Onu, sono circa 240 gli insediamenti israeliani e circa 650.000 i coloni israeliani a Gerusalemme est e in Cisgiordania.
Al contrario, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, ha accolto con favore la mossa di Washington, affermando che “i nostri diritti nella Terra di Israele sono ancorati non solo ai diritti storici, ma anche alla giustizia definita dal diritto internazionale”. E ha chiesto a tutti gli ambasciatori dell’Onu di “esaminare il contenuto dell’annuncio Usa e la sua base giuridica in modo imparziale”.