A soli 10 anni, Mizba Ahmed e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire via dalle persecuzioni in Myanmar. Sono saliti a bordo di un’imbarcazione di contrabbandieri e sono partiti alla volta dell’Australia, con la speranza di trovare una vita migliore.
Ma così non è stato. Per 18 mesi hanno vissuto in condizioni di detenzione sull’isola di Nauru, nell’Oceano Pacifico.
“Nauru è il posto peggiore che abbia mai visto per un bambino”, ha detto Mizba che oggi ha 13 anni e vive sull’isola con la madre e tre sorelle.
Decine di bambini come Mizba sono stati detenuti per mesi o addirittura per anni presso il centro di detenzione per richiedenti asilo di Nauru, una piccola isola dell’Oceania di circa 21 chilometri quadrati.
Molti di loro descrivono il campo come una prigione a cielo aperto. I bambini insieme alle loro famiglie vivono dietro le recinzioni, vengono controllati quando entrano ed escono dal campo o si recano a scuola. Spesso si sentono intimiditi da numerose vessazioni da parte delle guardie di sicurezza.
Mentre l’Europa è alle prese con un impetuoso flusso di migranti e di rifugiati, l’Australia ha da anni intrapreso una politica controversa e insolita. Intercetta navi cariche di migranti e di rifugiati, e poi li costringe a vivere in condizioni di prigionia i due isole del Pacifico.
I centri di detenzione “offshore” australiani si trovano sull’isola di Nauru, che è uno stato a sé, e a Manus, un’isola della Papua Nuova Guinea.
In cambio, l’Australia offre aiuti economici a questi paesi e ne acquista i servizi. Secondo quanto riportato dal Guardian, i centri costano ai contribuenti australiani circa 1,2 miliardi di dollari all’anno.
In questi centri di detenzione sono stati rilevati pesanti abusi commessi nei confronti dei migranti, alcuni dei quali sono stati denunciati dal Guardian Australia nell’inchiesta denominata Nauru Files.
I documenti del quotidiano dimostrano che nel campo oltre la metà dei casi di violenze denunciati riguarda minori, che rappresentano il 18 per cento della popolazione del centro, e che le violenze sessuali contro le donne sono molto diffuse.
Nonostante le condizioni difficili, alcuni di loro sognano ancora di fuggire via per riuscire a crearsi un futuro oltre i confini di questa piccola isola.
Ma c’è chi prende come esempio il modello con cui l’Australia fa fronte ai migranti che vogliono arrivare nel loro Paese: è il ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Le parole di Salvini sono arrivate mentre 148 migranti rimangono a bordo della nave militare italiana Diciotti, attraccata al porto di Catania senza il permesso di scendere. Solo 29 minori non accompagnati sono potuti scendere a terra (qui abbiamo spiegato la vicenda).
“Nessun migrante soccorso in mare mette piede in Australia”, ha detto il capo del Viminale in un’intervista a Rtl, intervenuto in merito alla questione degli sbarchi di migranti soccorsi in mare (qui le sue dichiarazioni sulle altre questioni).
“Il mio obiettivo è il No Way australiano. Sulla Diciotti sono tutti immigrati illegali. L’Italia non è più il campo profughi d’Europa. Con la mia autorizzazione non scende nessuno”, ha aggiunto Salvini.
Matteo Salvini non è nuovo ad apprezzamenti al rigido sistema australiano. In un post pubblicato sulla sua pagina Facebook il 4 giugno 2015 si legge: “Il governo Australiano ha fatto un accordo con le isole di Papua Nuova Guinea e Nauru, perché trattengano gli immigrati che chiedono asilo: nessuno mette più piede in Australia! Il deputato PD dice che è una “stronzata”, ma per me fanno bene! Che dite, affittiamo un’isola anche noi?”
Ma Nauru non è certo un paradiso per i migranti che sono costretti a restarci.
Ecco alcune testimonianze dei bambini chiusi nel centro di detenzione di Nauru:
“Non è un crimine desiderare una vita migliore e un futuro”, ha confessato una ragazza di 18 anni che ha chiesto di rimanere anonima per proteggere la sua incolumità. “Spesso siamo trattati come prigionieri”.
Tra il 2007 e il 2014, il governo australiano ha reso noto che almeno 1.200 persone hanno perso la vita nelle acque del Pacifico nel corso del loro viaggio di speranza attraverso il mare. I sopravvissuti sono finiti nelle maglie del sistema migratorio australiano.
I richiedenti asilo trasferiti nel centro di detenzione di Nauru vivono in tende senza aria condizionata, in una delle zone più calde della terra. Alcuni si lamentano dei tetti e delle tende delle proprie abitazioni-container ammuffite o arrugginite e altri si lamentano della presenza costante di ratti e scarafaggi.
La mancanza di opportunità educative ha portato molti adolescenti a soffrire di depressione, spingendo alcuni addirittura al suicidio. La sicurezza individuale del campo è stato un problema costante.
Un rapporto del governo australiano nel 2015 ha documentato innumerevoli accuse di violenza sessuale e fisica presso il centro di accoglienza, compresi casi che coinvolgono bambini. Le accuse hanno riguardato sia altri detenuti sia il personale stesso del centro.
Ma mercoledì 3 febbraio 2016 l‘Alta Corte australiana ha stabilito che la politica di detenzione per i richiedenti asilo applicata dal governo centrale australiano è legale.
Nel 2016 erano circa 500 i migranti che vivono nella piccola isola di Nauru, che si trova a 3.000 chilometri a nordest dell’Australia. La decisione dell’Alta Corte coinvolge 267 richiedenti asilo giunti negli ultimi mesi in Australia per avvalersi di trattamenti medici per sé e per i loro figli.
Almeno 37 sono i bambini nati in territorio australiano. In virtù della decisione di riconoscere legale la politica di detenzione applicata dal governo, i richiedenti asilo dovranno lasciare il continente e far ritorno al campo di detenzione allestito a Nauru, nell’Oceano Pacifico.
Nonostante le critiche a livello internazionale rivolte al governo centrale e al trattamento riservato ai richiedenti asilo, i sondaggi mostrano che le politiche messe a punto per contrastare il fenomeno e impedire a molti di raggiungere le coste australiane hanno riscosso un grande successo popolare.