Tradizionalmente, l’Islanda è nota per i suoi splendidi paesaggi, l’anomala alternanza di giorno e notte secondo i ritmi delle regioni nordiche e una qualità della vita tra le più alte in Europa.
Ultimamente, tuttavia, come fatto notare da un reportage dell’emittente statunitense Cbs, l’isola nordeuropea ha fatto parlare di sé per un’altra caratteristica: la quasi totale assenza di bambini nati con la sindrome di Down.
Da quando nei primi anni Duemila sono stati introdotti nel paese i test prenatali, una cifra vicina al 100 per cento delle donne incinte alle quali sia stata diagnosticata la sindrome di Down per il proprio feto ha scelto di non portare a termine la gravidanza.
Secondo la legge islandese, l’aborto è consentito fino a sedici settimane dal concepimento nel caso il feto presenti una deformità, tra le quali rientra appunto la condizione citata.
Questa tendenza all’uso molto ampio di test prenatali, e contemporaneamente la scelta pressoché unanime di non portare a termine la gravidanza in caso di esito positivo, ha fatto sì che attualmente nel paese nascano circa uno o due bambini Down all’anno, su una popolazione di 330mila persone.
Inoltre, spesso queste nascite sono la conseguenza di test che non avevano rilevato la presenza della sindrome, o avevano evidenziato rischi bassissimi.
Cbs fa notare come la tendenza islandese a un uso molto ampio della scienza per influire sulle prospettive genetiche di un’intera nazione sia qualcosa di ambiguo a livello etico.
“Non c’è niente di male nell’aspirare ad avere figli sani, ma è difficile decidere quanto in là ci si debba spingere nell’inseguire questo obiettivo”, ha commentato il genetista locale Kari Stefansson.