Un donna di 34 anni di religione yazidi, acquistata come schiava e ripetutamente violentata da un combattente dello Stato Islamico, ha riferito al quotidiano statunitense The New York Times che un’altra schiava che era con lei, una bambina di 12 anni, è stata stuprata per giorni nonostante riportasse gravi emorragie.
“Ha distrutto il suo corpo,” dichiara la donna. “Non smetteva di chiedermi perché puzzava così tanto. Io gli risposi che aveva un’infezione e che era necessario prendersi cura di lei”.
L’uomo avrebbe però ignorato lo stato fisico in cui versava la dodicenne, continuando a violentarla e a pregare prima e dopo lo stupro.
“Gli ho detto che era solo una bambina, ma lui ha ribadito che si trattava prima di tutto di una schiava e che fare sesso con lei era un gesto apprezzato da Dio”.
Lo stupro sistematico delle donne e delle ragazze della minoranza religiosa yazidi è parte integrante dei princìpi fondamentali dello Stato Islamico. I rapimenti dei yazidi da parte dell’Isis sarebbero stati oltre 5mila, di cui almeno 3mila sarebbero tuttora detenuti.
“Continuavo a dirgli che fa male e lo supplicavo di smettere. Lui mi ha risposto che dopo aver finito sarebbe stato più vicino a Dio”, afferma una bambina liberata dopo 11 mesi di prigionia.
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Il 3 Agosto 2014 i combattenti dell’Isis hanno invaso i villaggi sul fianco meridionale del Monte Sinjar, un altopiano roccioso nel nord dell’Iraq. Le sue valli sono abitate in particolare da yazidi di origine irachena, che equivalgono a circa l’1.5 per cento della popolazione del Paese, la quale secondo le stime dell’Onu, ammonterebbe a 34 milioni.
In un primo momento sembrava che la conquista dell’area montuosa rappresentasse solo l’ennesimo tentativo di estendere il territorio iracheno sotto il controllo dell’Isis, ma questa volta il loro obiettivo era diverso: promuovere il rapimento sistematico di donne, ragazze e bambine a scopi sessuali e commerciali.
(Una donna yazidi di 27 anni fuggita dalla schiavitù sessuale dello Stato Islamico)
“È un fenomeno pianificato al cento per cento”, afferma Khider Domle, un’attivista della comunità yazidi che gestisce un database dettagliato delle vittime di questo commercio. “Ci sentiamo traditi dai britannici e dagli americani,” continua riferendosi agli sforzi messi in atto per contrastare il fenomeno.
Anche i rapporti di Human Rights Watch e Amnesty International, due organizzazioni non governative che lottano per la promozione dei diritti umani, giungono alla stessa conclusione circa la natura sistematica del traffico sessuale effettuato dallo Stato Islamico.
La conferma che la campagna di riduzione in schiavitù di donne e ragazze yazidi venne volutamente pianificata è infine stata rilasciata dallo stesso Stato Islamico, che lo ha precisato sulla propria rivista online Dabiq.
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F, una ragazza di 15 anni catturata sul monte Sinjar circa un anno fa dalle truppe dell’Isis, ha confermato a The New York Times che le ragazze sono obbligate a riferire ai miliziani del gruppo il proprio nome, l’età, la città natale e se sono sposate o se hanno dei figli, per poter essere così schedate su un apposito registro.
Le prigioniere vengono anche costrette a segnalare la data esatta del loro ultimo ciclo mestruale, una pratica volta a capire se le ragazze sono incinte, in linea con una regola della Shariah che afferma che un uomo non può avere rapporti sessuali con la sua schiava se lei aspetta un bambino.
Come si legge nel rapporto di Amnesty International, spesso le prigioniere tentano il suicidio pur di non essere violentate. Inoltre possono venire costrette dagli schiavisti a convertirsi all’Islam e a vivere insieme alle loro famiglie.
In un video postato nell’ottobre 2014 su YouTube, si vede un gruppo di combattenti presumibilmente appartenenti al gruppo Stato Islamico mentre scherzano in una stanza sull’acquisto e la vendita di ragazze yazidi durante il giorno dedicato al mercato degli schiavi.
Le schiave, inoltre, apparterrebbero a colui che le ha comprate e dunque possono essere ereditate da un altro uomo dopo la sua morte. Allo stesso tempo possono essere liberate su volontà del loro sfruttatore, che in questo caso riceverebbe una ricompensa celeste per l’atto effettuato.
Anche se molto rara, la liberazione rappresenta una delle poche vie di fuga per le vittime di schiavitù. Resta il fatto che le sopravvissute devono convivere con il trauma di aver subito violenze sessuali, e in molte aree del Medio Oriente lo stupro è considerato uno stigma che disonora l’intera famiglia della vittima.
Chi è riuscito a fuggire descrive una burocrazia complessa in merito alla prigionia: lo status di schiave sarebbe registrato su un contratto e, in caso di vendita o decesso del proprietario, verrebbe redatto un nuovo contratto, proprio come avviene per il trasferimento di titoli di proprietà.
Inoltre alcune ragazze sarebbero state acquistate da veri e propri grossisti di esseri umani, che le hanno fotografate e numerate per pubblicizzarle ai potenziali compratori.
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Secondo i combattenti dello Stato Islamico, il Corano giustificherebbe la violenza sessuale, in quanto essa porterebbe benefici spirituali. Al tempo stesso i miliziani del gruppo armato sostengono che il sesso con donne cristiane ed ebree catturate sul campo di battaglia è lecito, così come lo stupro di bambini.
In questo senso il commercio di donne e ragazze a fini sessuali rappresenterebbe anche un utile strumento per il reclutamento nelle file dello Stato Islamico di uomini provenienti da aree profondamente conservatrici, dove il sesso casuale è un tabù.
Chi sono i yazidi e perché sono perseguitati dallo Stato Islamico
(Due sorelle yazidi fuggite dalla schiavitù sessuale dello Stato Islamico)
La comunità religiosa dei yazidi vive tra l’Iraq, la Siria e la Turchia, e conterebbe fra i 100mila e i 700mila membri.
Questa minoranza religiosa venera sette angeli differenti, motivo per cui viene considerata di stampo politeista da parte dello Stato Islamico. Il più importante di questi angeli a cui i yazidi rivolgono le loro preghiere è Melek Taus – rappresentato come un pavone – un angelo caduto sulla Terra dopo essersi rifiutato di chinarsi di fronte ad Adamo. Secondo la tradizione islamica, lo stesso personaggio porta il nome di Shaytan, ovvero Satana. Mentre nell’Islam viene visto come un angelo disobbediente, i yazidi ne venerano l’indipendenza e il coraggio, e credono che Dio lo abbia perdonato e riportato nei cieli. Agli occhi dei miliziani dell’Isis, questo non fa che rendere i yazidi degli adoratori del diavolo.
Le convinzioni dei yazidi si basano su una tradizione orale e non hanno alcun testo sacro – un altro motivo per cui agli occhi dei combattenti dell’Isis, i yazidi appaiono come degli infedeli, ancor più spregevoli dei cristiani e degli ebrei. Per i yazidi quindi non vi sarebbe alcuna possibilità di poter pagare una tassa, la cosiddetta jizya, al fine di essere liberati dai loro rapitori, come accade invece per ebrei e cristiani.