Multe salatissime, il rischio dell’esclusione dai servizi pubblici e la minaccia del carcere o di subire decine di frustrate. La nuova legge sul “velo e la castità” che entrerà in vigore il 13 dicembre prossimo in Iran pone nuovi rischi per le donne intenzionate a non rispettare il rigido codice di abbigliamento obbligatorio in vigore dal 1980 nella Repubblica islamica.
Il testo integrale dei 74 articoli di legge, divisi in cinque diversi capitoli, è stato pubblicato lo scorso 30 novembre dalle autorità iraniane, che dopo due anni di proteste per l’uccisione della giovane Mahsa Amini stabiliscono così un nuovo e più stringente quadro normativo per le modalità di vestiario femminile.
In particolare, oltre a coprire il capo (e i capelli) con un velo, sono vietati “indumenti succinti o attillati, che mostrano parti del corpo più in basso del collo, sopra le caviglie o sopra gli avambracci”, sia in pubblico che online. Pena sanzioni severissime, tra cui l’arresto immediato per qualsiasi individuo considerato “nudo” in luoghi pubblici.
Le prime violazioni della nuova legge in Iran possono comportare multe a partire da 8 milioni di rial (circa 180 euro), che raddoppiano se non pagate entro 30 giorni. In caso di recidiva, le sanzioni aumentano: partendo da 80 (1.800 euro) fino a 165 milioni di rial (oltre 3.725 euro). Ma anche chi critica o protesta contro l’imposizione del velo rischia multe fino a 18 milioni di rial (oltre 400 euro). I casi di disobbedienza più gravi poi prevedono pene detentive da 2 a 6 anni di carcere e ben 74 frustate.
Chi non paga le sanzioni in tempo rischia inoltre di essere esclusa dall’accesso ai servizi amministrativi, finanziari e sociali, anche essenziali, come il rilascio del passaporto, l’immatricolazione del veicolo e il rinnovo della patente di guida. La norma prevede punizioni anche per le più giovani: tutte le ragazze di età compresa tra i 9 e 15 anni che non rispettano le regole saranno soggette non solo alle suddette multe ma anche a una serie di non meglio precisate “misure educative” obbligatorie.
La legge prevede sanzioni anche per chi non collabora con le autorità dell’Iran: i gestori di complessi residenziali che si rifiutano di fornire alle autorità i filmati di sorveglianza delle donne che si oppongono alla nuova norma rischiano multe da 18 a 36 milioni di rial (da 400 a oltre 800 euro). Anche i conducenti di taxi, vetture a noleggio o di servizi di trasporto digitali (tipo Uber) sono tenuti a denunciare le passeggere che violano le suddette regole, pena sanzioni pecuniarie e il mancato rinnovo della licenza. Dipendenti pubblici e titolari di attività commerciali che non collaborano a far rispettare queste norme rischiano la sospensione dal servizio pubblico per cinque o sei anni, oltre alle suddette sanzioni pecuniarie.
La norma si applica anche agli spazi culturali e creativi in Iran, vietando design, giocattoli, opere d’arte e manichini ritenuti “promotori di violazioni dell’obbligo del velo”. Anche in questi casi i trasgressori rischiano multe, divieti di spostamento e viaggi all’estero e restrizioni sulle attività online. Possono essere puniti inoltre gli uomini che entrano nelle sezioni dei trasporti pubblici riservate alle donne, che si oppongono all’obbligatorietà dell’hijab in Iran o che incoraggiano la violazione di queste regole.
La legge incarica quindi il ministero delle Strade e dello Sviluppo Urbano di costruire alloggi “in linea con la cultura islamica”, promuove la creazione di punti vendita permanenti di capi di abbigliamento “appropriati” e sostiene una produzione tessile “rispettosa dei valori islamici”. Il testo affida inoltre l’applicazione delle nuove regole a vari enti governativi: il ministero della Cultura e della Guida Islamica; l’emittente radiotelevisiva pubblica IRIB; il ministero della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia; le autorità di polizia; i paramilitari Basij; i Comuni e i capi villaggio.
Per reprimere potenziali proteste, la norma autorizza inoltre il ministero dell’Intelligence, l’unità di intelligence della polizia (FARAJA) e l’Organizzazione di intelligence del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche di visionare e mettere a disposizione delle autorità competenti dati e filmati di chi viola queste regole.
Ma la legge istituisce in Iran anche gruppi “popolari” incaricati di inviare avvertimenti verbali e scritti a chi viola le nuove regole, autorizzandoli a intervenire in pubblico per far rispettare le norme. Il testo consente inoltre ai “cittadini stranieri con documenti di residenza ufficiali” di aggirare il requisito della cittadinanza iraniana per unirsi a queste formazioni. Le autorità potrebbero così reclutare migliaia di “volontari”, ad esempio tra milioni di immigrati afghani, per formare gruppi di vigilantes da sguinzagliare contro le donne intenzionate a non rispettare i divieti.
L’iter della legge è durato più di un anno: il testo era stato elaborato da un comitato speciale di 10 deputati tra luglio e agosto 2023 in vista dell’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini e presentato solo il mese successivo in Parlamento, che però potè votare soltanto per approvare la sperimentazione triennale della norma. Riportato in aula a maggio 2024 dal governo dell’allora presidente Ebrahim Raisi, morto poi in un incidente in elicottero, è stato definitivamente approvato a ottobre dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, un organismo composto da 12 membri non eletti, che esamina tutti gli statuti per garantirne la coerenza con l’ideologia della Repubblica islamica.
Tuttavia persino l’attuale presidente Masoud Pezeshkian, che dovrà promulgare la norma entro il 13 dicembre, ha espresso “diverse riserve” in merito, affermando che questa legge “rovinerà molte cose nella società iraniana”. “Non dobbiamo fare nulla che possa dispiacere alla nazione”, ha insistito nel suo discorso pronunciato il 2 dicembre alla tv pubblica. La legge però entrerà in vigore comunque perché, anche nel caso Pezeshkian non dovesse promulgare la norma, lo farà il presidente del Parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf.