Nuova escalation nella guerra segreta tra Israele e Iran, mentre a Vienna riprendono i colloqui con gli Usa
La guerra clandestina in corso da un anno e mezzo tra Israele e Iran potrebbe essere entrata in una nuova fase con il sospetto attacco a una nave iraniana nel Mar Rosso, nel giorno in cui a Vienna sono iniziati i colloqui “indiretti” tra Stati Uniti e Iran per ripristinare l’accordo per il nucleare iraniano del 2015.
La nave cargo Saviz, ritenuta un’imbarcazione militare, è stata colpita il 6 aprile da un’esplosione mentre si trovava nel Mar Rosso, a largo di Gibuti. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Tasnim, vicina alle Guardie rivoluzionarie iraniane, la Saviz è stata attaccata da una mina. Il ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato che l’incidente ha provocato danni minori e non ha causato feriti. Il portavoce Said Khatibzadeh ha affermato che la nave è civile e si trova nell’area per difendere la regione dai pirati, senza accusare Israele dell’attacco.
Secondo funzionari statunitensi citati dal Wall Street Journal, la Saviz viene usata dalla Guardia rivoluzionaria iraniana per raccogliere informazioni di intelligence. Già lo scorso ottobre l’associazione United States Naval Institute aveva riportato che la nave era considerata una imbarcazione militare gestita dalla Guardia rivoluzionaria iraniana, sotto la copertura di una nave civile.
La guerra clandestina tra Iran e Israele
La Saviz potrebbe essere stato l’ultimo bersaglio nel conflitto sotterraneo tra Israele e Iran, accelerato dall’inizio della presidenza di Joe Biden, che ha promesso di riportare gli Stati Uniti nel Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action o JCPOA), l’accordo per il nucleare del 2015 dal quale l’amministrazione Trump è uscita a maggio 2018 per poi reintrodurre le sanzioni contro la Repubblica islamica. La decisione era stata appoggiata da Israele che considera l’Iran il principale avversario nella regione, accusandolo di finanziare e sostenere Hezbollah in Libano e Hamas nella striscia di Gaza.
Da fine 2019, Israele ha attaccato almeno altre 12 navi sospettate di trasportare carburante e armi dall’Iran alla Siria, aggirando le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Teheran è stata a sua volta accusata da Tel Aviv di aver colpito diverse navi israeliane. Nelle scorse settimane, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che l’attacco del 26 febbraio contro la MV Helios Ray, una nave cargo di proprietà israeliana, è stato “chiaramente” un’azione iraniana. Secondo la stampa israeliana, a fine marzo un’altra la portacontainer di proprietà israeliana, la Lori, è stata colpita da un missile iraniano nel golfo di Oman.
Le autorità israeliane non hanno commentato direttamente il caso della Saviz. Tuttavia il ministro della Difesa Benny Gantz ha risposto a una richiesta di commentare l’incidente affermando che “Israele è pronto a entrare in azione in qualsiasi arena e su qualsiasi distanza” e che lo stato ebraico dispone di “sistemi offensivi operativi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno”.
Una fonte statunitense ha riferito al New York Times che Israele ha avvisato gli Stati Uniti di aver colpito la nave alle 7:30 della mattina di 6 aprile, in risposta a precedenti attacchi iraniani contro imbarcazioni israeliane. Il Pentagono ha dichiarato che nell’incidente non sono state coinvolte forze statunitensi.
Colloqui a Vienna
Nello stesso giorno in cui è stata colpita la Saviz, a Vienna sono iniziati i colloqui tra Stati Uniti e Iran per riavviare l’accordo per il nucleare del 2015. Le delegazioni, comunicando tramite intermediari, hanno trovato un’intesa per istituire due gruppi di lavoro, rispettivamente incaricati di discutere la rimozione delle circa 1.600 sanzioni imposte dagli Stati Uniti dopo la decisione di uscire dall’accordo nel 2018 e il rientro dell’Iran nei parametri dell’accordo per l’arricchimento dell’uranio.
Pur definendo l’incontro un successo, il rappresentante permanente della Russia presso le organizzazioni internazionali a Vienna, Mikhail Ulyanov, ha dichiarato via Twitter che il ripristino del Jcpoa “non avverrà immediatamente. Richiederà del tempo. Quanto? Nessuno lo sa”. Ha aggiunto anche che l’esito più importante dalla riunione di oggi della Commissione congiunta del Jcpoa è l’inizio del percorso verso il raggiungimento di questo obiettivo.
Dall’elezione lo scorso novembre di Biden, l’Iran ha chiesto il ritiro delle sanzioni prima di riprendere negoziati per tornare ad aderire agli impegni previsti dall’accordo. Dall’altra parte, gli Stati Uniti ha chiesto che l’Iran rispetti i limiti all’arricchimento dell’uranio prima di rimuovere le sanzioni.
Oggi l’Organizzazione per l’energia atomica iraniana ha dichiarato che l’Iran ha prodotto 55 chili di uranio arricchito al 20 percento, affermando che in otto mesi la Repubblica islamica potrà arrivare a 120 chili. Secondo il portavoce Behrouz Kamalvandi, l’Iran ha già superato del 40 percento il tasso di 10 chili di uranio arricchito al mese previsto da una legge approvata dal parlamento iraniano lo scorso gennaio, che ha imposto una tabella di marcia accelerata al programma nucleare iraniano.
Fino a gennaio, l’Iran non aveva mai dichiarato di aver arricchito l’uranio oltre il livello del 4,5 percento, rispetto a un limite del 3,67 percento stabilito dall’accordo. Mentre per l’uso dell’uranio a scopi militari è richiesto un livello del 90 percento, la soglia del 20 percento è considerata critica nello sviluppo di armi nucleari. A gennaio l’Iran ha anche iniziato ad arricchire l’uranio al 20 percento a Fordow, un sito sotterraneo che, secondo l’accordo del 2015, non può essere utilizzato dal paese.
Nel 2020 il programma nucleare iraniano è stato bersaglio di diversi atti di sabotaggio che l’Iran ha attribuito a Israele. Tra questi un’esplosione che a luglio ha gravemente danneggiato il sito per l’assemblaggio di centrifughe nucleari a Natanz e l’uccisione lo scorso novembre di Mohsen Fakhrizadeh, considerato il padre del programma nucleare iraniano.
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