Si chiamano Zahra Sedighi Hamedani e Elham Chubdar le due attiviste lgbt che sono state condannate a morte in Iran. Zahra ha 31 anni ed è stata arrestata a ottobre scorso mentre stava cercando di lasciare il paese, sapeva di trovarsi in pericolo. In un video fatto prima della sua fuga si è ripresa dicendo le seguenti parole: “Voglio che voi sappiate quanta pressione sopportiamo noi LGBT. Rischiamo la vita per le nostre emozioni, ma troveremo il nostro vero io… Spero che arrivi il giorno in cui tutti noi potremo vivere in libertà nel nostro Paese. Ora sto viaggiando verso la libertà… Se non ce la faccio, avrò dato la mia vita per questa causa”. A riportarlo è la Bbc. Alla frontiera le guardie rivoluzionarie islamiche l’hanno accusata di fuga illegale, traffico di esseri umani e di collaborare con media anti iraniani (aveva rilasciato un’intervista alla BBC sulle condizioni della comunità lgbt in Iran). L’hanno dunque condotta nel carcere di Urmia, dove è stata tenuta in isolamento. La sentenza è arrivata senza che potesse ricorrere ai servizi di un avvocato. L’accusa di traffico è stata abbandonata ma Zahra è stata condannata a morte per “corruzione sulla Terra attraverso la promozione dell’omosessualità” e “depravazione”. Stesso destino per Elham Chubdar, 24 anni, che è detenuta nello stesso carcere ed ha ricevuto la medesima condanna. Una terza attivista lgbt, Soheila Ashrafi, si troverebbe in attesa di una sentenza.
A veicolare la notizia è stata Hengaw, un’associazione per i diritti umani in Kurdistan: “Nell’esprimere profonda preoccupazione per la condanna a morte delle due persone, l’Organizzazione per i diritti umani Hengaw conferma che la Procura e il Tribunale rivoluzionario di Urmia sono tra i tribunali più noti per quanto riguarda gli imputati politici, ideologici e LGBT, che generalmente non soddisfano gli standard di un processo equo e non rispettano i diritti degli imputati. Hengaw chiede che le organizzazioni per i diritti umani prestino particolare attenzione alla situazione delle due persone”. Si tratta della prima volta che una donna viene condannata per il suo orientamento sessuale in Iran, spianando la strada a futuri atti di repressione di questa portata, lo dice Shadi Amin, attivista iraniana responsabile dell’associazione “6Rang” in esilio in Germania. L’appello delle associazioni è di fare pressione sui governi perché inducano la Repubblica Islamica dell’Iran a rilasciare le attiviste.