L’Iran si schiera contro le proprie attuali leggi sulla famiglia, che lasciano troppe libertà per quelli che sono i nuovi obiettivi demografici. Il Paese sta cercando di impedire la sterilizzazione volontaria e limitare l’accesso alla contraccezione con due disegni di legge che riporterebbero le donne indietro di decenni, e le ridurrebbero, secondo Amnesty International, a “macchine per la riproduzione”.
Il Parlamento sta lavorando a due provvedimenti che hanno l’obiettivo di far aumentare la popolazione nei prossimi anni.
La legge per l’aumento della fertilità, proibirà la chirurgia per la contraccezione permanente (sia per gli uomini che per le donne) e introdurrà severe punizioni per i medici che si presteranno a queste operazioni. Ci saranno anche tagli al budget per i programmi di pianificazione familiare, grazie ai quali le famiglie ricevevano sussidi per l’accesso alla contraccezione.
Il secondo provvedimento per la popolazione globale e l’esaltazione della famiglia, invece, indica ai soggetti pubblici e privati di dare priorità nelle assunzioni, prima agli uomini con figli, poi agli uomini sposati senza figli e solo alla fine, alle donne sposate con figli. La legge restringe anche la pratica del divorzio, già sbilanciata in favore degli uomini.
In un rapporto pubblicato da Amnesty International, si denuncia che le proposte, se approvate, potrebbero “rinforzare pratiche discriminatorie” nei confronti delle donne, che sarebbero anche esposte a gravi rischi per la salute.
I provvedimenti potrebbero far aumentare il numero di gravidanze indesiderate e quindi costringere le donne a sottoporsi ad aborti illegali. Aumenterebbe anche il contagio di malattie sessualmente trasmissibili come l’Aids.
“Le autorità stanno promuovendo una cultura pericolosa, in cui le donne sono spogliate dei diritti fondamentali e viste come macchine per la riproduzione invece che come esseri umani, negando loro ogni possibilità di scelta per il proprio corpo e la propria vita”, ha dichiarato il vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e Nord Africa, Hassiba Hadj Sahraoui.
Negli ultimi vent’anni, l’Iran aveva messo in piedi un programma di controllo delle nascite, diventando famoso per lo slogan “due figli sono sufficienti”. Questo includeva contributi economici per le operazioni di vasectomia, diffusione gratuita di preservativi e accesso a buon mercato ad altri metodi contraccettivi. Inoltre, in tutto il Paese venivano gestiti programmi di educazione sessuale e di pianificazione della famiglia.
Le nuove leggi, che porrebbero effettivamente fine al controllo delle nascite, arrivano in seguito alle parole dell’ayatollah Ali Khamenei che aveva criticato la pianificazione familiare perché troppo vicina allo stile di vita occidentale, invitando la popolazione iraniana a raddoppiare.
L’anno scorso, Khamenei aveva annunciato che l’Iran sarebbe andato incontro ad un invecchiamento della popolazione in breve tempo se le coppie si fossero rifiutate di fare più figli. Ma le sue preoccupazioni erano state smentite dai dati, secondo i quali circa il 70 per cento della popolazione ha meno di 35 anni.
“I disegni di legge proposti rafforzano gli stereotipi discriminatori nei confronti delle donne e segnano una tentativo senza precedenti da parte dello stato di interferire nella vita privata delle persone”, denuncia Sahraoui, che aggiunge: “Nel loro infervorato tentativo di proiettare un’immagine di forza militare e geopolitica cercando di incrementare le nascite, le autorità iraniane stanno violando ogni diritto fondamentale delle donne”.
Le proposte inoltre sono in netto contrasto con le promesse per la parità di genere del presidente Hassan Rouhani.
Il disegno di legge è un “decisivo passo indietro per l’Iran”. Per il vicedirettore di Amnesty, “i disegni di legge inviano il messaggio che le donne non siano nulla di più che casalinghe obbedienti e procreatrici, e suggeriscono che esse non debbano avere il diritto di lavorare o intraprendere una carriera fino a quando non abbiano adempiuto a questi ruoli e doveri primari.”
In Iran, le donne sono ancora costrette a vivere in un regime fortemente discriminatorio. Non sono tutelate contro i reati sessuali e se ritenute coinvolte in rapporti omosessuali possono essere punite con 100 frustate, se non addirittura con la pena di morte.
Inoltre, secondo i dati ufficiali del 2014, circa 41 mila ragazze sono state costrette a matrimoni forzati tra i 10 e i 14 anni, mentre almeno 201 sono state date in moglie prima di aver compiuto 10 anni.
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