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    Non solo Libia e Siria, anche le locuste potrebbero aggravare la crisi dei migranti

    Credits: Ansa

    La peggiore invasione di locuste degli ultimi 25 anni, in corso nel Corno d’Africa e non solo, mette a rischio la sopravvivenza dei residenti locali, già tra i protagonisti dei flussi migratori verso l’Europa e l’Italia

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 18 Feb. 2020 alle 19:40 Aggiornato il 18 Feb. 2020 alle 20:07

    Non solo la guerra in Libia e Siria, anche le locuste potrebbero aggravare la crisi dei migranti

    Non solo la Libia e la Siria, ma anche una nuova minaccia ecologica connessa ai cambiamenti climatici potrebbe aggravare i flussi migratori verso l’Europa e l’Italia, già alimentati dalla violenza in aumento lungo la sponda meridionale del Mediterraneo, mentre il ministero dell’Interno riferisce un aumento di quasi 11 volte degli sbarchi di migranti giunti finora nel nostro Paese nel 2020 rispetto al medesimo periodo dello scorso anno, seppur più che dimezzati in confronto agli stessi mesi del 2018.

    Il disastro ecologico in corso nel Corno d’Africa e non solo, dovuto a un’invasione di locuste, la peggiore degli ultimi 25 anni secondo le Nazioni Unite, potrebbe infatti ingrossare le fila di sfollati, rifugiati e migranti diretti nel vecchio continente, da Paesi già tradizionalmente protagonisti dei flussi migratori verso l’Europa.

    La “piaga” delle locuste in Africa

    L’ultimo aggiornamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha lanciato l’allarme in particolare in Kenya, Etiopia e Somalia, “dove le diffuse infestazioni di locuste del deserto e le nuove generazioni di questi insetti minacciano la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza della popolazione della regione”.

    Non a caso questa specie è considerata la più pericolosa al mondo tra gli insetti migratori, capace di provocare veri e propri disastri ecologici e di mettere a rischio l’agricoltura e i pascoli. Questi ortotteri vivono non più di tre mesi, ma quando si riproducono formano una nuova generazione fino a 20 volte maggiore della precedente e, seguendo i venti, sono in grado di percorrere in volo fino a 150 chilometri al giorno e distruggere almeno 200 tonnellate di vegetazione. Secondo gli esperti, un solo chilometro quadrato di coltivazioni infestate può ospitare fino a 40 milioni di esemplari, capaci di nutrirsi in un solo giorno di un ammontare di cibo sufficiente a sfamare quasi 35 mila persone. Queste cifre forniscono un quadro della gravità della situazione in una regione come il Corno d’Africa, dove oltre 19 milioni di persone sono già considerate a rischio insicurezza alimentare.

    Secondo il National Geographic, vari studi attribuiscono la crisi a un prolungato periodo di tempo eccezionalmente umido, a cui l’Africa orientale e la penisola arabica hanno assistito negli ultimi 18 mesi, quando diversi e rari cicloni hanno interessato l’Oceano indiano occidentale e nordoccidentale. Queste tempeste sarebbero legate a loro volta a un comportamento anomalo nella circolazione oceanica, provocato dall’effetto serra dovuto all’inquinamento da attività umane, che lo scorso anno ha causato la formazione di ben 6 uragani, di cui la metà di categoria 3 o superiore, nel solo Oceano indiano settentrionale.

    A dispetto del nome, le locuste del deserto prosperano infatti dopo periodi di intense precipitazioni, che innescano il fiorire della vegetazione nel loro habitat normalmente arido in Africa e in Medio Oriente. A seguito dell’abbattimento di ben 13 diversi cicloni in quest’area negli ultimi due anni, gli sciami di questi ortotteri hanno così dato vita ad almeno 8 nuove generazioni diverse, susseguitesi nel corso del tempo, aumentando esponenzialmente il numero degli esemplari.

    I possibili effetti sui flussi migratori

    I movimenti di questi insetti hanno interessato aree già particolarmente instabili, a causa di conflitti armati, violenze inter-etniche e fattori ambientali che limitano l’approvvigionamento di cibo. In totale la crisi affligge, con varie sfumature di gravità, ben 16 diversi Paesi del mondo, come Kenya, Etiopia, Somalia, Uganda, Tanzania, Sud Sudan, Sudan, Egitto, Eritrea, Gibuti, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Iran, Pakistan e India, tutte nazioni con una solida storia di migrazioni verso l’Europa e l’Italia, motivata da situazioni di prolungata instabilità.

    Secondo la Fao, questa minaccia coinvolge in particolare tre aree “calde”, dove la situazione resta estremamente allarmante: il Corno d’Africa, la zona del mondo attualmente più colpita dall’invasione di locuste; entrambe le sponde del mar Rosso, in cui imperversano vari sciami di insetti adulti; e l’Asia sud-occidentale, tra Iran, Pakistan e India, recentemente interessata da intense precipitazioni e dove questi ortotteri hanno cominciato a deporre le proprie uova. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), tutte queste zone del mondo ospitano oltre 30,8 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari, rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni.

    Il Corno d’Africa e l’area orientale del continente ospitavano in particolare lo scorso anno almeno 14,1 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari, compresi circa 4,6 milioni tra rifugiati e richiedenti asilo, provenienti per lo più da Sud Sudan e Somalia, e oltre 9,5 milioni di sfollati interni in Sud Sudan, Somalia, Sudan ed Etiopia. Se la più giovane nazione africana viveva lo scorso anno la seconda maggiore crisi umanitaria al mondo in termini di numero di rifugiati, con 2,5 milioni di persone ospitate in Sud Sudan e fuggite da altri Paesi, la Somalia, afflitta da oltre due decenni di guerra, registrava almeno 2,6 milioni di sfollati interni, mentre in Etiopia vivevano 900 mila rifugiati, per lo più originari dei Paesi vicini, e circa 2,8 milioni di sfollati a causa delle violenze etniche interne e di altri disastri ecologici.

    Nel 2019, le Nazioni Unite hanno inoltre identificato almeno 14 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari “urgenti” nel solo Yemen, dove vivono almeno 4 milioni di sfollati interni e 276 mila tra rifugiati e richiedenti asilo, provenienti per lo più dall’Etiopia e dalla Somalia. Lo scorso anno, soltanto l’Iran ospitava invece oltre 979 mila rifugiati, per lo più provenienti dal vicino Afghanistan, mentre erano quasi 1,59 milioni le persone bisognose di aiuti umanitari registrate dall’Unhcr in Pakistan e quasi 208 mila quelle presenti in India.

    Le crisi in corso in queste aree del mondo hanno favorito l’emigrazione dai Paesi interessati, in particolare dall’Africa, ma non solo. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), oltre 63 mila migranti hanno lasciato sei Paesi del Corno d’Africa e dell’area orientale del continente nei primi 10 mesi dello scorso anno, con una media di oltre 200 persone al giorno. Le Nazioni Unite definiscono la zona “un’area ad alta attività migratoria”, che passa in buona parte dallo Yemen, una nazione in guerra civile da quasi cinque anni e dove è in corso una drammatica crisi umanitaria, considerata dall’Onu “la peggiore catastrofe” di questo genere al mondo. Se il 39 per cento di queste persone si dirige verso altri Paesi della regione, il 54 per cento emigra verso il Consiglio di cooperazione del Golfo, nella penisola araba, da dove poi tenta di raggiungere il resto del Medio Oriente e l’Europa.

    Sebbene sia improbabile che la maggior parte di queste persone riesca effettivamente a raggiungere le coste del vecchio continente, i dati diffusi dall’Oim sottolineano come, nonostante la violenza in corso in questi Paesi, il 48 per cento dei migranti in partenza dal Corno d’Africa e il 39 per cento di quelli provenienti da nazioni dell’Asia meridionale come il Pakistan sia “spinto da motivazioni economiche”, emigrando per sfuggire alla povertà, alla disoccupazione e alla scarsità di risorse. In questo senso, l’invasione di locuste e gli effetti provocati sui mezzi di sussistenza della popolazione, in particolare in Africa orientale e Asia meridionale, potrebbe costituire un “pull factor” per queste persone, andando ad alimentare ancor di più i flussi migratori diretti verso l’Europa e interessando Paesi da cui proviene già oltre l’8,5 per cento degli immigrati attualmente presenti in Italia. Secondo i dati Istat infatti, al 1 gennaio del 2018 erano già oltre 452 mila i cittadini stranieri provenienti dalle 16 diverse nazioni interessate dall’invasione delle locuste e residenti in Italia, mentre l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) segnala l’arrivo sulle nostre coste nel 2019 di almeno altre 2.354 persone originarie di questi Paesi, pari a oltre il 20 per cento degli sbarcati dello scorso anno.

    Se i movimenti di persone da queste nazioni sono già giustificati da diversi fattori economici, politici, sociali, ambientali e religiosi, i nuovi disastri ecologici causati dai cambiamenti climatici potrebbero contribuire a ingrossare ancor di più queste cifre. Secondo la Banca mondiale infatti, il numero di persone che emigrano per motivi ambientali potrebbe arrivare a 143 milioni entro il 2050, di cui 126 milioni provenienti proprio dall’Africa sub-sahariana e dall’Asia meridionale, rendendo così “piaghe” come quella attuale delle locuste meno confinate ai Paesi poveri e più “vicine” al panorama delle nazioni cosiddette “sviluppate”, oggi preoccupate per lo più da un’epidemia di polmonite da nuovo coronavirus scoppiata in Cina. A proposito, un esperto cinese ha definito “improbabile” ma non impossibile l’interessamento del Paese asiatico, denunciando un “drastico” aumento della probabilità che in estate le locuste raggiungano la Cina se l’invasione dovesse persistere nei vicini Pakistan e India, un’eventualità che metterebbe a rischio la produzione di cereali e i pascoli in un momento in cui Pechino soffre già per la scarsità di forniture dovuta al blocco delle attività economiche seguito all’esplosione dei contagi. Insomma, è la globalizzazione dei rischi e non solo delle opportunità e anche stavolta i muri non servono.

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