“Il nostro popolo, il popolo curdo, si aspetta molte sfide. Ma crediamo che i paesi stranieri, sopratutto Europa e Stati Uniti, non ci lasceranno da soli”. Il dottor Aziz Hassan, specialista in Studi strategici, vive a Erbil, nel Kurdistan iracheno. A pochi giorni dall’esito del referendum del 25 settembre, che con il 93 per cento ha mostrato tutta la volontà dei curdi di ottenere l’indipendenza, ha raccontato a TPI quali sono le possibili conseguenze.
“I paesi occidentali non ci hanno lasciati da soli nella lotta all’Isis a Mosul, a Raqqa. Perché adesso dovrebbero smettere di preoccuparsi del destino del nostro popolo? Questo è quello che si chiede la gente”, chiede Hassan. “Noi vogliamo un divorzio pacifico con Baghdad, vogliamo fare ciò che hanno fatto la Repubblica ceca e la Slovacchia, che hanno deciso di separarsi in pace”.
Ma il governo di Baghdad per il momento non sembra intenzionato a cedere. Il premier Haider al-Abadi ha chiesto al governo regionale del Kurdistan di “cancellare” l’esito del voto e ha minacciato di chiudere lo spazio aereo sulla regione entro venerdì 29 settembre se i curdi non accetteranno le condizioni di Baghdad. Intanto, compare anche lo spettro di un possibile intervento militare da parte della Turchia o dell’Iran, entrambi schierati con l’Iraq contro l’iniziativa curda.
“Adesso la situazione a Erbil è stabile”, sottolinea l’esperto, “Il nostro popolo crede che il nuovo stato del Kurdistan sarà parte della soluzione, della stabilità qui in Medio Oriente”. Hassan ribadisce che il Kurdistan non ha alcuna intenzione di minacciare i paesi confinanti: “Dobbiamo mantenere le relazioni con la Turchia, che è la nostra porta sul Mediterraneo e anche il futuro mercato per il gas naturale del Kurdistan nei prossimi due o tre anni”, dice.
Dottor Hassan, il risultato del voto, al 93 per cento favorevole all’indipendenza, era ciò che i curdi iracheni si aspettavano?
Sì, era un esito ampiamente atteso. Anche nella precedente consultazione, che si è tenuta in via non ufficiale nel 2005, organizzata da alcune ong, abbiamo avuto un risultato simile. All’epoca il 98 per cento votò in senso favorevole. Non ci sono grandi differenze tra oggi e il 2005.
L’unica differenza è che l’affluenza è stata un po’ più bassa nel referendum dello scorso 25 settembre. Siamo intorno al 72 per cento, rimane comunque buona.
Il governo di Baghdad sostiene che il voto sia illegale in base alla costituzione irachena. È vero?
No. La costituzione irachena del 2005 contiene una frase che tutela l’unità del paese, ma solo se la carta costituzionale viene implementata e rispettata. Questo in realtà oggi non accade per alcuni articoli della costituzione.
Ad esempio, non c’è stata alcuna attuazione dell’articolo 140, che riguarda la città di Kirkuk, contesa tra Baghdad ed Erbil. Dal 2005 ci sono stati una serie di incontri, ma nessuna vera mossa di Baghdad per attuare quanto prescrive questa norma.
La seconda ragione è che nel 2014, prima che Haider al-Abadi prendesse il potere, l’ex premier iracheno Nouri al-Maliki ha deciso di tagliare il bilancio del Kurdistan. Per questo abbiamo deciso di vendere il nostro petrolio curdo alla Turchia. Altrimenti avemmo avuto seri problemi a pagare gli stipendi di un milione e quattrocentomila impiegati pubblici della regione.
Cosa prevede l’articolo 140 della costituzione?
Riguarda la soluzione della situazione dei territori contesi, e in particolare Kirkuk. Il regime di Saddam Hussein ha costretto la maggioranza curda a lasciare la città, ma dopo il 2003 le famiglie vi hanno fatto ritorno ma poi sono nati problemi per definire le sorti della città.
Dopo la caduta di Saddam i curdi hanno accettato l’articolo 140, pensando che potesse risolvere la situazione, e anche Baghdad ha firmato, ma non è stata ai patti.
Per queste ragioni i curdi hanno capito di non poter continuare a vivere sotto il governo di Baghdad. Abbiamo pensato: “Non staremo per sempre in questa situazione, dobbiamo prendere delle decisioni”. I nostri leader hanno chiesto che la decisione venisse dal popolo e così si è giunti al referendum.
Il Kurdistan indipendente è storicamente un sogno dei curdi, non lo è solo dal 2003. Nonostante le posizioni degli altri paesi, eravamo determinati.
Infine, c’è un’altra ragione per cui questo referendum è legale. La costituzione a un certo punto dice che tre città (o più di tre) possono fare una scissione dall’Iraq se questo non rappresenta i loro interessi. Erbil, Dahuk e Ninive sono tre grandi città. Quindi la costituzione dà loro il diritto di decidere il loro futuro.
Baghdad minaccia di bloccare i voli, pensa possa accadere?
Sì, Baghdad ci ha chiesto di dare loro il controllo dell’aeroporto di Erbil, con un ultimatum di tre giorni, ma noi abbiamo rifiutato. Hanno detto che se non avessimo obbedito avrebbero bloccato i voli internazionali su quello scalo.
Il governo effettivamente potrebbe farlo perché ha ancora il controllo dello spazio aereo, anche se sono le autorità regionali del Kurdistan a controllare le frontiere terrestri con l’Iran, la Turchia e la Siria. Lo fanno dal 1992 e hanno anche continuato a farlo anche durante il regime di Saddam. Non sarebbe facile per Baghdad assumere il controllo di questi confini.
In ogni caso non penso che il blocco aereo durerebbe a lungo, perché qui abbiamo una base aerea statunitense. Per quanto riguarda la cooperazione con Turchia e Iran, la nostra gente è preoccupata, perché questi due paesi non si fidano l’uno dell’altro. Neanche Iraq e Turchia si fidano l’uno dell’altro, a causa della Siria e di altre ragioni.
Pensa che ci sia davvero il rischio di un intervento militare dall’esterno o dall’interno dell’Iraq?
Non credo. La Turchia non ha motivo di tirare in ballo il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Sì, loro si trovano sulle montagne di Kandill da molti anni, ma il partito del Kurdistan iracheno ha addirittura aiutato Ankara contro il Pkk in passato, nel 1992 e nel 1998. Per cui come possono temere la nostra indipendenza?
Poi la situazione dei curdi ormai è diversa dal passato. Ci sono gruppi di curdi attivi in Siria, con il supporto degli Stati Uniti. Perché la Turchia non è in grado di intervenire contro di loro? Perché non interrompe il sostegno che arriva dagli Usa alle milizie curde Ypg? Non ci sono riusciti.
Inoltre, nessuno ha mai tentato di usare la nostra terra contro la Turchia. Questo perché il governo del Kurdistan iracheno non lo permetterebbe.
Per quanto riguarda l’Iran, non interverrà direttamente con dei soldati, perché non vuole alimentare la tensione con gli Stati Uniti. Teheran in genere preferisce una “guerra per procura”. Vogliono combatterci attraverso le milizie che loro controllano qui in Iraq e che si chiamano Al-Sha’abi.
Ci saranno probabilmente scontri a Kirkuk con queste milizie, che ufficialmente sono diventate parte dell’esercito iracheno ma rispondono a Teheran. Avverranno probabilmente dopo la battaglia di Hawija contro l’Isis, ma a quel punto ci aspettiamo che gli Stati Uniti non resteranno in silenzio.
Per quanto riguarda il fronte interno?
Non penso che l’esercito iracheno ci attaccherà, perché c’è una cooperazione in corso tra i peshmerga (le forze militari autonome del Kurdistan iracheno, ndr) e l’esercito iracheno contro l’Isis. Ma come ho detto anche le milizie di Al-Sha’abi ora fanno parte dell’esercito, e non essendo sotto il controllo di Baghdad sono loro a preoccuparci maggiormente.
Pensa che le popolazioni curde in Iran, Turchia e Siria potrebbero iniziare ad avanzare rivendicazioni ai loro governi dopo il vostro referendum?
No, non penso che questo accadrà. I curdi iracheni sono semi-indipendenti dal 1992, di fatto pienamente indipendenti. Anche il passaporto, la moneta, i confini, è tutto sotto il nostro controllo. In tutti questi anni siamo stati indipendenti e non abbiamo rappresentato una minaccia per Iran e Turchia, perché dovremmo diventarlo adesso?
Inoltre noi proviamo a essere parte di una soluzione pacifica per la questione curda in Turchia.
Sì, i curdi di Siria e Turchia saranno felici del referendum, ma il voto vale solo per i curdi iracheni. Questo è quello che ha detto il nostro presidente.
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