Questo selfie lo ha messo davvero nei guai. Era il gennaio 2016 quando Rami Jarrah, giornalista siriano pluripremiato e fondatore dell’agenzia di informazione siriana Ana New-Media Association, era stato invitato in un palazzo governativo di Istanbul per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
L’obiettivo era discutere del trattamento dei giornalisti siriani alla frontiera turca, dopo che il suo collega Deiaa Dughmoch era stato picchiato al rientro nel paese.
“Il presidente sapeva che il nostro team di giornalisti ha una forte presa sui tre milioni di siriani in Turchia”, racconta Jarrah a TPI in un bar di Gaziantep, città turca a un’ora e mezza di macchina da Aleppo. “Avremmo potuto causargli problemi provocando una reazione nella comunità siriana nel paese, così ha deciso di trattarci con diplomazia”.
Al tavolo dell’incontro Jarrah si è fatto subito un selfie: sullo sfondo Erdogan, in primo piano una sua smorfia irridente. Era una presa in giro nei confronti dell’uomo più potente della Turchia?
“Da allora non ho pace”, racconta Jarrah. Quel selfie non è piaciuto ai più: ai siriani vicini ad Assad, perché lo ritraeva con il principale alleato dell’esercito libero siriano; ai resistenti anti Assad, perché prende in giro chi li foraggia; a Erdogan, per ovvie ragioni.
Neanche un mese più tardi Jarrah è stato arrestato a Gaziantep, e detenuto insieme a presunti militanti dello Stato islamico e del partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). “Mi hanno accusato prima di essere legato ai servizi segreti inglesi, poi addirittura di appartenere all’Isis”, racconta Jarrah, che poi è stato rilasciato dalle autorità turche.
Figlio di dissidenti siriani esiliati, Jarrah è cresciuto a Londra e dall’inizio della guerra civile nel 2011 è un noto commentatore del conflitto per i media in lingua inglese, fra cui il network statunitense Cnn e il quotidiano The New York Times. Da qui i sospetti che lavorasse per i servizi inglesi.
“Quanto all’accusa di appartenere all’Isis, credo risalga a quando mi sono perso in Siria finendo per sbaglio in una zona controllata dai miliziani insieme ad alcuni colleghi giornalisti”, spiega Jarrah. “Ce ne siamo resi conto vedendo sulle automobili gli adesivi che l’Isis usa per immatricolare le macchine. Per due giorni siamo rimasti nascosti nelle campagne, e al momento giusto siamo fuggiti”.
Jarrah era già stato arrestato in Siria nel 2011, quando aveva filmato le prime proteste contro il presidente Assad a Damasco. In quell’occasione era stato anche torturato per tre giorni dai servizi di sicurezza del regime. In Siria era stato un osservato speciale fin dal suo ritorno nel 2004, visto che i suoi genitori sono oppositori storici del partito Baath, il partito di Assad.
“È necessario lavorare per tenere insieme tutte le opposizioni siriane, serve dialogare anche con i gruppi più islamisti”, sostiene Jarrah, che vede la caduta di Assad come premessa necessaria a qualsiasi risoluzione del conflitto.
“Anche se il loro fine ultimo è quello di creare uno stato islamico, non sono terroristi. Se cominciamo a isolare gruppi come Fateh al-Sham e il più moderato Ahrar al-Sham, finiremo per alienarli, e cominceranno a tagliare teste anche loro come l’Isis”, risponde Jarrah, quando TPI osserva che alcuni gruppi di resistenza come l’ex Fronte di Al-Nusra, derivano da Al Qaeda e dallo Stato Islamico.
“Noi siriani consideriamo tutta l’opposizione ad Assad parte dell’Esercito siriano libero, a parte l’Isis. Lo stesso vale per la Turchia, che dice di sostenere solo l’opposizione moderata, ma in verità sostiene anche gli islamisti”.
Da questo punto di vista Jarrah non ha nulla da ridire su Ankara, ma in compenso ha obiezioni riguardo al trattamento riservato ai siriani in Turchia.
“Sto cercando di comprare casa a Gaziantep, ma il proprietario si rifiuta solo perché sono siriano”, racconta Jarrah. “C’è una legge antiquata per cui i siriani non sono autorizzati a comprare casa in Turchia. È assurdo, soprattutto perché purtroppo le prospettive di tornare a breve nel nostro paese sono alquanto limitate”.
A questo si aggiunge che la promessa di Erdogan di concedere la cittadinanza turca a rifugiati siriani non sta venendo mantenuta a dovere, secondo Jarrah. “Mi hanno offerto un passaporto, ma chiedendomi 20mila lire turche di mazzetta (quasi 6mila euro, ndr). È un mercato nero di politici e burocrati corrotti, altro che una concessione umanitaria del governo”.
(Qui sotto un servizio di Rami Jarrah per Ana Press, in lingua inglese, che documenta gli attacchi dei russi contro i civili in Siria).