Ambasciatrice, il suo ultimo libro si intitola “Frammenti di Bruxelles” ed è dedicato al grande “villaggio burocratizzato” della capitale d’Europa: perché?
«Ho sempre pensato che la letteratura, molto più di un saggio, serva a descrivere le realtà politiche e il lento plasmarsi della cultura e della mentalità delle persone. La lettura di dieci storie contenute nel libro e ambientate nella capitale belga aiuta a comprendere le trasformazioni che erano in nuce anni addietro e che oggi risultano evidenti. I racconti di critica civile al Parlamento europeo, al socialismo, alla borghesia liberale, alla vita nelle ambasciate e negli Istituti di cultura, tratteggiano, spero con ironia e leggerezza, dei tipi umani, teneri nelle loro debolezze, protagonisti del vuoto politico e morale che la capitale vive».
Cos’è successo all’Ue?
«L’Europa ha tradito gli ideali sbandierati nei trattati. La pratica dell’austerità e delle politiche neoliberali ha cominciato col non riconoscere la prosperità dei popoli e a essere funzionale ai vantaggi della società dell’1 per cento. Oggi persino l’obiettivo della pace è stato accantonato. Purtroppo la classe dirigente abbraccia il bellicismo, una sorta di nazionalismo europeo, e sotto i falsi miti della difesa delle democrazie contro le fantomatiche minacce delle autocrazie, predica l’espansionismo militare e la destabilizzazione di intere regioni in Europa come in Medio Oriente».
Il futuro dell’Europa è nelle armi?
«L’ambiguità della fase attuale della costruzione europea è dovuta al mascheramento dietro vecchi ideali di progetti diversi e che nuocciono al federalismo dell’Ue. La difesa europea e la sua autonomia strategica da Washington sono stati per anni un punto fermo di coloro, inclusa la sottoscritta, che erano consapevoli dell’impossibilità di individuare interessi e identità europea senza un capacità di difesa militare. La politica estera non è possibile purtroppo senza capacità militari. Oggi negli anni del vassallaggio europeo a Washington, l’Europa polacca costruisce la difesa europea come braccio militare della Nato. Altro che interessi dei popoli europei!».
C’è un nesso con la progressiva affermazione dell’estrema destra?
«Il linguaggio bellicista promuove i profitti delle oligarchie delle armi. I cittadini sono dimenticati. L’estrema destra cresce dappertutto nel continente in quanto l’élite al Governo ha dimenticato i perdenti della globalizzazione e i falsi socialisti e liberali odierni, hanno smantellato lo Stato sociale e creato disuguaglianze mai viste precedentemente. L’inesistenza dei valori di una sinistra sociale, il fallimento di un programma di riforme democratiche e attente ai bisogni delle classi lavoratrici, ha trasformato le stesse in base elettorale della destra, apparentemente contraria all’attuale establishment, di fatto ad essa funzionale. Ricordiamo che i nazisti in Germania hanno raggiunto il potere in virtù dell’appoggio dei ceti capitalistici».
È possibile tornare indietro?
«Certo, è possibile una postura differente dell’Ue ma anche dell’Occidente collettivo. È possibile la ripresa della mediazione. Ne scrivo nel libro “L’Occidente e il nemico permanente” pubblicato a marzo scorso con Paper First che ha avuto un successo insperato, vendendo circa 8.000 copie».
Esiste una soluzione diplomatica in Ucraina?
«A mio avviso la pace vera – non un cessate il fuoco in un conflitto congelato che rischierà di riaprirsi in futuro ogni volta che le tensioni tra Mosca e Bruxelles aumenteranno – passa per una revisione a 360 gradi della politica statunitense ed europea. L’obiettivo di smantellare la Federazione russa, di provocare la caduta di Putin o semplicemente di erodere il potere di Mosca dovrebbe essere messo da parte. L’Ucraina neutrale, pacificata e federale, in grado di far convivere l’Ovest con l’Est e la convocazione di una conferenza internazionale al fine di ristabilire un’architettura di sicurezza europea potrebbero essere i veri obiettivi di una diplomazia occidentale rinsavita».
Ma bisogna fare i conti con le presidenziali Usa.
«Purtroppo se i democratici americani vinceranno le elezioni temo che la guerra continuerà a danno non solo della Russia ma dell’Ucraina soprattutto che sta pagando costi terribili in termini di vite umane. Il Paese è ormai fallito, gestito da una classe corrotta e asservita a interessi stranieri. La popolazione è diminuita di un terzo. A prescindere dalla vittoria sulla Russia, considerata improbabile anche dal Pentagono, la guerra è di per sé un bene per l’oligarchia finanziaria, delle armi e dell’energia, riduce la Germania alla sottomissione a Washington e con essa l’Europa tutta».
Quindi Trump sarebbe “l’uomo della pace”?
«I repubblicani in genere hanno meno dei democratici la tendenza a rivestire i loro interessi geopolitici di contenuti etico religiosi e sono maggiormente inclini, quali “businessmen” spregiudicati e pragmatici, a raggiungere compromessi in grado di fornire loro ritorni .Trump, che si è molto esposto in campagna elettorale, non ha gli interessi dei Biden e risponde a poteri finanziari diversi. Cercherà un compromesso».
Sostiene di poter risolvere tutto “in 24 ore”.
«Credo che solo un’Ucraina senza sbocco al mare, un Paese fantoccio, potrà entrare nella Nato con l’assenso di Mosca. In altre parole, la neutralità dell’Ucraina resta la condizione sine qua non della pace, altrimenti la guerra continuerà anche con Trump fino a che i russi non saranno giunti a Odessa».
Italia ed Europa sono condannate ad aspettare le decisioni Usa?
«L’Europa nella quale tanti di noi hanno creduto avrebbe dovuto opporsi all’espansionismo della Nato, come del resto ha tentato di fare fino al 2008 al vertice dell’Alleanza a Bucarest ed applicare gli accordi di Minsk. Questa guerra si poteva facilmente evitare se Bruxelles, l’Europa continentale e mediterranea, si fosse opposta ai disegni dei neoconservatori statunitensi e fatto valere in seno all’Alleanza atlantica gli interessi dei popoli europei. Ancora oggi questa Europa continentale e mediterranea potrebbe far ascoltare la sua voce e opporsi a quella nordica, baltica, dell’Est, incline ad essere il cavallo di Troia di Washington a Bruxelles. Temo tuttavia che ormai siamo divenuti più estremisti del blob americano. Il Parlamento europeo ha votato a favore della definizione della Russia quale Stato terrorista. Borrell ha applicato la censura contro le reti di informazione russa dimostrando in questo modo che la libertà di stampa, cardine del liberalismo, può essere cancellata. Abbiamo perso il nostro umanesimo facendo nostra una guerra per procura di Washington contro la Russia. Non siamo credibili purtroppo come mediatori. La Turchia, Stato membro della Nato, in virtù della sua strategia a difesa dell’interesse nazionale, è in grado di dialogare con Mosca. Noi no».
Un’incapacità dimostrata anche in Medio Oriente.
«L’Occidente ha assicurato a Israele l’impunità e Tel Aviv conduce ormai una politica al di fuori di ogni legalità internazionale. È uno Stato colpevole di crimini di guerra, secondo il Procuratore della Corte penale internazionale ed è artefice di un plausibile genocidio a Gaza ad avviso della Corte Internazionale di Giustizia, un organo delle Nazioni Unite. L’Europa dovrebbe richiedere sanzioni contro Israele, riconoscere lo Stato di Palestina, un gesto simbolico e politico, cessare naturalmente il rifornimento di armi. Il nostro Governo è uno dei più zelanti verso Israele. L’Occidente tutto è complice del martirio degli innocenti di Gaza».
Eppure il premier Netanyahu sembra godere di migliore salute politica rispetto a un anno fa.
«Netanyahu rafforza la sua posizione politica con le aggressioni alla Siria e al Libano. Gli Stati Uniti in campagna elettorale non possono che assecondare le scelte israeliane, la potenza sponsor è condizionata da quella sponsorizzata. La lobby di Israele, come afferma il politologo statunitense John Mearsheimer, condiziona, negando o elargendo fondi, la politica di Washington e ha pesanti infiltrazioni in Europa. Ricatta lo spazio politico mediatico, raggiungendo anche altri poteri».
Perché la comunità internazionale non riesce a intervenire?
«La comunità internazionale non esiste. Abbiamo da una parte l’Occidente collettivo schierato con Israele, pedina avanzata della Nato in Medio Oriente, dall’altra il resto del mondo contro l’arroganza criminale della classe dirigente di Tel Aviv».
La missione Unifil ha ancora senso?
«La missione Unifil ha come scopo precipuo la pace tra Israele e Libano. Non mi è chiaro quale funzione essa abbia nel momento in cui Netanyahu decide di continuare il lavoro sporco in Libano con la benedizione di Washington e quindi dell’Europa. Beirut è sottoposta a bombardamenti massicci. Assistiamo in Libano allo stesso disprezzo per la vita e le sofferenze umane che abbiamo osservato a Gaza. Unifil, quale forza multinazionale di pace avrebbe un senso, se l’Europa continentale, Francia, Italia e Germania, esistessero politicamente e accompagnassero l’azione della missione Onu con un contrasto netto alla guerra scatenata da Israele, richiamando l’alleato americano al rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite».
La soluzione dei due Stati è ancora percorribile?
«La soluzione dei due Stati oppure un unico Stato democratico e non ebraico, multinazionale sarebbero possibili se l’Occidente abbandonasse la sua patologica postura di dominio nel mondo. Bisognerebbe far cessare il fuoco a Gaza, poi la Striscia andrebbe gestita, ricostruita, da una forza internazionale con la partecipazione degli arabi come dell’Iran, i coloni dovrebbero abbandonare le terre occupate con violenza, persecuzioni, assassini e torture dei palestinesi. Il diritto onusiano e internazionale dovrebbe essere rispettato. I profughi, i martiri dimenticati nei loro campi, dovrebbero poter ritornare nelle loro terre».
Come si arriva a questo risultato?
«Tutto sarebbe possibile se l’Occidente volesse tornare a una politica di pace e di mediazione in Medio Oriente. Una conferenza internazionale con Cina e Russia, con gli arabi sunniti e l’Iran sarebbe importante per poter pacificare la regione e ritornare a negoziare per dare spazio alle ragioni legittime di Israele e a quelle della Palestina, che dal 1948 sono state cancellate».
Gli Accordi di Abramo sono la soluzione o parte del problema?
«Gli accordi di Abramo, la normalizzazione del Medio Oriente con trattati bilaterali dei Paesi arabi sunniti con Israele, ha portato avanti la solita strategia fallimentare di isolare l’Iran e di dimenticare i Palestinesi. L’attacco barbarico del 7 ottobre contro i civili israeliani, uccisi in grande parte anche da fuoco amico come oggi si sa, è stato il risultato di una tattica senza visione che Washington porta avanti da anni. Che sia fallimentare non mi sembra una opinione ma ormai un fatto».