Si può fuggire dalle mura di un carcere attraverso l’immaginazione? È l’interrogativo al centro del nuovo romanzo dello scrittore turco Burhan Sönmez, Istanbul Istanbul, pubblicato a settembre 2016 in Italia da Edizioni Nottetempo.
Sönmez è nato ad Ankara nel 1965 e ha origini curde. In passato ha lavorato come avvocato specializzato in diritti umani e oggi insegna letteratura all’università di Ankara. Nel 2013 ha partecipato ai moti di Piazza Taksim come protagonista e testimone.
Dopo essere rimasto gravemente ferito in uno scontro con la polizia turca nel 1996, è stato curato nel Regno Unito con il supporto dell’associazione Freedom from Torture. È stato in quel momento che ha iniziato a scrivere. Oggi i suoi libri sono tradotti in oltre venti paesi.
Istanbul Istanbul è il suo terzo romanzo e racconta la storia di quattro prigionieri rinchiusi in un carcere sotterraneo. Un barbiere, uno studente, un dottore e un vecchio rivoluzionario.
Come nel Decamerone, i protagonisti si raccontano a vicenda alcune storie, e lo fanno negli intervalli tra una seduta di tortura e l’altra.
Teatro o fulcro dei racconti è quasi sempre la città di Istanbul e il fascino che la caratterizza. Una “magia” che per Sönmez non è mai stata scalfita, nemmeno dai recenti attacchi terroristici, come quello che la notte di capodanno ha provocato 39 vittime nella discoteca Reina.
“Istanbul ha una fonte inesauribile di bellezza che resiste a tutte le generazioni di uomini crudeli”, dice Sönmez a TPI. “E noi che siamo i suoi abitanti vorremmo essere parte di questa bellezza aiutando Istanbul. La città non ci appartiene, al contrario, siamo noi ad appartenerle”.
(Nella foto, lo scrittore turco Burhan Sönmez, autore di Istanbul Istanbul. Credit: Edizioni Nottetempo. Il pezzo continua sotto la foto)
“Nessuno può distruggere la magia di Istanbul”, continua lo scrittore. “Non lo hanno fatto gli antichi romani, i crociati o gli ottomani, non lo faranno nemmeno i nostri attuali leader politici ed economici”.
La situazione dei diritti umani in Turchia, però, dopo il colpo di stato dello scorso luglio si è fatta sempre più cupa. “In Turchia abbiamo completamente perso la legalità e i valori democratici”, avverte Sönmez, ricordando le centinaia di migliaia di persone licenziate e gli organi di stampa chiusi negli ultimi mesi. “Centocinquanta giornalisti e scrittori si trovano in carcere”, ricorda.
In questo contesto i paesi sviluppati secondo lo scrittore hanno un loro ruolo e potrebbero agire. Ma come?
“Per esempio possono smettere di vendere armi e incentivare movimenti radicali in Turchia e in Medio Oriente”, suggerisce. “Possono aprire le loro porte alle persone, specialmente a chi è senza casa perché i loro paesi sono stati distrutti con l’aiuto dei governi occidentali. Infine, possono promuovere una soluzione pacifica nel conflitto curdo”.
La popolazione curda, che in Turchia ammonta a circa 13 milioni di persone, è stata colpita dalla repressione post-golpe con l’arresto di decine di deputati del partito filocurdo Hdp.
“I curdi sono il principale obiettivo al momento”, sostiene Sönmez. “I loro diritti culturali e democratici sono negati. Le loro città vengono distrutte. I loro rappresentati legali vengono arrestati”.
“Vivono un inferno, proprio come il governo turco aveva promesso”, dice lo scrittore.
Tra le esperienze che Sönmez ha vissuto in Turchia c’è anche quella della tortura. Ma quando gli chiediamo se quello che provano i protagonisti di Istanbul Istanbul nel carcere è tratto dalla sua esperienza personale dice: “Quel tipo di esperienze nel mio paese non sono personali, ma sociali. Ogni famiglia ha un membro che è passato attraverso la tortura o la prigione. Quando si parla di queste cose qui è qualcosa di comune e ben conosciuto da tutti”.
Forse è per questo che le speranze e la fiducia restano sotto la superficie di Istanbul, sul fondo di quella cella sotterranea. Almeno per il momento.
“I nostri sogni sono sepolti sottoterra. La nostra stessa anima ora è nascosta nella terra”, dice Sönmez. “I miei personaggi non sono solo persone al buio, rappresentano i nostri sogni futuri”.
A un certo punto del libro il barbiere Kamo dice che gli uomini non possono fare nulla per cambiare il mondo e che per questa ragione non crede nella politica. Non è così invece per Sönmez. “Abbiamo una lunga serie di antenati che hanno creato tutto il male nella nostra cultura, mentre un’altra serie di antenati si è sforzata di creare bellezza. Noi discendiamo da entrambi. Il barbiere Kamo vede solo uno di questi due fronti”.
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