Rosemary, infermiera di 40 anni del Kingsbrook Hospital di Brooklyn e Vincent, vicino ai sessanta, autista di bus a Philadelphia sono stati divisi per sempre dal Coronavirus. Il Washington Post racconta la loro storia d’amore e di dolore. Entrambi afroamericani, si erano conosciuti in una festa d’estate a Coney Island. Si erano innamorati all’istante e sposati tre mesi dopo. Il loro lavoro li ha costretti a vivere distanti per sette anni, vedendosi però ogni fine settimana e viaggiando per l’America con Winston, il figlio adolescente di Rosemary. A metà marzo New York è già l’epicentro dell’epidemia negli Stati Uniti e Brooklyn è tra le zone più colpite della città. Rosemary e le sue colleghe infermiere si trovano in una situazione di emergenza: i reparti sono sovraffollati. Il torrente dei nuovi contagiati non si ferma.
Ma nell’ospedale non ci sono DPI a sufficienza. Mancano mascherine efficaci, per non parlare dei visori. I turni sono sfibranti. Si lavora a ciclo continuo. Una settimana dopo Rosemary ha la tosse. Si fa vedere da un medico che la manda a casa con l’antibiotico. La sera, quando chiama Vincent, è già senza voce. “Non mi fido, torna al pronto soccorso”, si sente dire dal marito.
L’indomani ha la febbre. La portano in ambulatorio. Le fanno il test per il Covid-19: positiva. Viene ricoverata, ma in due settimane le sue condizioni non migliorano. Non riesce più a parlare. Con Vincent può scambiare solo qualche messaggio via Whatsapp. Ecco l’ultima conversazione. Vincent: “Vengo a trovarti”. Rosemary: “No, non sono ammesse visite. Sono stanca. Ti amo”. L’infermiera muore da lì a poco. Si è poi saputo che Vincent è malato di diabete e che Rosemary aveva chiesto ai colleghi e alle colleghe di non farlo entrare in ospedale per non esporlo al contagio.
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