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    Reportage dal confine più pericoloso al mondo: sul filo tra India e Pakistan

    L'incredibile cerimonia con cui, ogni pomeriggio, viene chiusa la frontiera tra i due paesi al confine di Wagah-Lahore

    Di Iacopo Luzi
    Pubblicato il 18 Dic. 2019 alle 17:15 Aggiornato il 18 Dic. 2019 alle 17:16

     

    India-Pakistan, reportage dal confine più pericoloso del mondo

    Visitare l’India ha il suo bel quantitativo di sorprese e, fra le perle nascoste di questo paese, visitare Amritsar, nello stato del Punjab, è sicuramente una delle più affascinanti. Il suo tempio dorato al centro della città, chiamato Harmandir Sahib, è considerato essere la Mecca per la religione Sikh ed è considerato da molti come la seconda cosa da vedere in India, dopo il Taj Mahal di Agra. Tuttavia, visitare Amritsar significa avere anche la possibilità, a soli 40 chilometri andando verso ovest, di assistere a qualcosa di unico al mondo e che, a detta del sottoscritto, è un evento che una persona dovrebbe vedere almeno una volta nella vita.

    Ma partiamo con ordine: di tutte le frontiere che dividono il mondo, dal confine fra Stati Uniti e Messico fino ad arrivare a quello tra Turchia e Siria, una fra le più tormentate e problematiche è sicuramente quella che divide l’India dal Pakistan, gli eterni vicini-nemici.

    Secondo Forbes, il confine indio-pakistano, è uno dei luoghi più pericolosi al mondo e, nonostante i due paesi condividano una frontiera di più di 3mila chilometri, sono solo quattro i punti d’entrata che permettono alle merci di trasporto e ai pochi viaggiatori (ricordiamo che agli indiani non è permesso entrare in Pakistan e viceversa) di passare da una nazione all’altra.

    Sin dalla formazione dei due stati, dopo la seconda guerra mondiale, la definizione dei confini da parte degli inglesi ha suscitato attriti e turbamenti fra Pakistan e India, soprattutto per quanto riguarda la situazione del Kashmir, diviso a metà fra i due stati e da sempre pomo della discordia, tanto che nei primi mesi del 2019 si è potuto assistere, dopo tanti anni, a una vera e propria escalation del conflitto, che ha elevato la tensione alle stelle.  Tanto da portare, addirittura, da febbraio a luglio di quest’anno, alla chiusura dello spazio aereo pakistano. Totale, fino a marzo, per tutti gli aerei, mentre, per i velivoli indiani, fino alla metà di luglio.

    Il blocco dello spazio aereo ha creato un ingente danno economico a tutte le compagnie aeree che volano verso l’India da ovest, le quali sono state costrette a compiere, con i propri aeroplani, delle rotte molto più lunghe per evitare la suddetta chiusura. Un danno, per compagnie come Air India, inquantificabile.

    Di là dalla geopolitica e della cronaca, tuttavia, fra i due paesi, che gli scontri siano al minimo o al massimo dei termini, esiste un luogo che non cambierà mai e un evento che non smetterà mai di essere celebrato. Sto parlando della cerimonia di chiusura della frontiera indio-pakistana, al confine di Wagah-Lahore, che ha luogo, puntualmente, ogni giorno dell’anno, prima del tramonto.

    Di fatto, che sia inverno o estate, con la pioggia battente o con il sole cocente a 48 gradi Celsius (vissuti sulla propria pelle), l’India e il Pakistan allestiscono una incredibile cerimonia di chiusura giornaliera della frontiera, fra le 4 e le 5 del pomeriggio, a seconda della stagione, che nel corso degli anni si è trasformata in una vera e propria festa/competizione fra i due paesi.

    La cerimonia attira quotidianamente migliaia di persone da entrambe le parti e, fra cori, maxischermi illuminati, riprese televisive, musiche a tutto volume e bandierine, ha ben poco da invidiare alle atmosfere dei migliori stadi di calcio del mondo. Nonostante la poca praticità nel raggiungere Wagah, la cerimonia di chiusura, che dura 45 minuti, vede una strada, divisa da due cancelli, sui quali svettano la bandiera indiana da una lato, e la bandiera pakistana dall’altro. I cancelli sono presidiata da soldati armati di tutto punto.

    Tutt’attorno alla strada, che inizia in India e finisce in Pakistan, si trovano degli alti gradoni da stadio dove la gente si riunisce per fare il tifo per la propria nazione, manco fosse il Mondiale di calcio (o di cricket, vista la celebrità dello sport da queste parti), mentre soldati di entrambe le parti si esibiscono per mostrare la grandezza e la forza del proprio paese rispetto all’altro. Il tutto è accompagnato da un batterista, per lo meno nel lato indiano, che scandisce i tempi dell’esibizione, mentre soldati e soldatesse marciano, sventolano bandiere, imbracciano spade, calciano l’aria, saltano, arrivano a far arrivare le proprie gambe fino alla fronte, che neanche una esperta ballerina di danza classica potrebbe, in un perfetto show-off della forza nazionale.

    Che uno si trovi dal lato indiano o pakistano, sebbene straniero, non è facile non farsi coinvolgere dall’atmosfera, ritrovandosi inconsapevolmente a fare il tifo per una delle due nazioni. La cerimonia è qualcosa di difficile da descrivere a parole e qualsiasi tentativo lessicale non renderebbe giustizia a ciò che si potrebbe vedere con i propri occhi.

    Anzi, da straniero presente, ai quali viene riservata una tribuna speciale, vista la loro rarità, ci si sente un po’ imbarazzati, vedendo tutto questo ardore, questa passione, questo incitamento sfegatato fine a se stesso. Mentre, da italiano, un amore così genuino per la propria patria, risulta essere una novità, un qualcosa che a casa ben poche volte si vede, forse solo quando si giocano i Mondiali o gli Europei di calcio.

    E, riferendosi proprio al football, per 45 minuti, sembra proprio di vivere una vera partita di pallone, con i soldati che, divisi dalla linea di confine, con i cancelli ancora aperti, arrivano quasi a sfiorarsi (letteralmente sono solo dei centimetri che li dividono) in perfette coreografie, provate e provate per anni, fino al momento in cui le due bandiere vengono ammainate al suono di una tromba e portate, con tutti gli onori del caso, via. Fino a che, due soldati, con le loro divise marrone e nere, e i cappelli con enormi pennacchi sopra, si avvicinano e si stringono la mano con molto rispetto, mentre i cancelli si chiudono alle loro spalle.

    Il confine resterà sigillato tutta la notte, fino alle dieci del mattino seguente. Difficile stabilire se ci sia un vincitore, in effetti, da entrambe le parti le coreografie e le varie fasi della cerimonia sono praticamente identiche, come a specchio, e in perfetta sincronia (che le provino segretamente insieme?). Inoltre, alla fine, ognuno è convinto di aver vinto nella cerimonia. Nessuno, che sia indiano o pakistano, potrebbe mai ammettere che gli altri siano stati migliori, perché non esiste sportività, solo rispetto, quando si tratta del proprio arcinemico.

    Ciò che veramente stupisce è l’importanza che viene data alla cerimonia, al valore della tradizione che non viene intaccato dalla geopolitica, con una certezza: India e Pakistan potrebbero anche incominciare nuovamente una guerra, ma al tramonto, al confine di Wagah, i due paesi si ritroverebbero sempre, per la loro cerimonia di chiusura. In fondo, come dice un detto indiano (ma un mio amico pakistano mi conferma che è quasi uguale in Pakistan): le tradizioni sono le tradizioni. Sono l’unica cosa che resiste al tempo. E questo, India e Pakistan, lo sanno molto bene.

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