Domenica 19 novembre Sebastián Piñera ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali in Cile con poco più del 36 per cento dei voti.
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Il consenso del candidato di centrodestra, già presidente dal 2010 al 2014, è stato contenuto dall’ottimo risultato dei due principali partiti di sinistra suoi rivali, che insieme sono riusciti a raccogliere il 43 per cento dei voti.
Al ballottaggio dovrà vedersela con Alejandro Guillier, il candidato della coalizione di centrosinistra che guida il paese dal 2014, che al primo turno ha ottenuto il 22,68 per cento dei voti, due punti in più rispetto alla principale candidata di sinistra, Beatriz Sànchez, che con un buon 20,28 per cento ha superato di molto le previsioni dei sondaggi pre-elettorali.
Piñera ha già annunciato di voler aprire un confronto con i centristi per recuperare terreno, ma l’ottimo risultato dei partiti di centrosinistra e sinistra anche alle elezioni per il rinnovo del Congresso, tenutesi lo stesso giorno delle presidenziali, potrebbe complicare i suoi piani.
“Cercheremo un sostegno dal centro, dalle persone che vogliono un Cile moderato”, ha annunciato Piñera. “Ascolteremo con umiltà ciò che la maggioranza dei cileni desidera.”
La vittoria del candidato di centrodestra, data per certa prima del voto del 19 novembre, è adesso meno scontata, come affermato dall’esperto di scienze politiche Kenneth Bunker a Reuters: “Si è aperta una fase di incertezza. Tutto il paese è sbalordito dall’uscita dei primi risultati.”
José Antonio Kast, il candidato indipendente di estrema destra e ammiratore dichiarato dell’ex dittatore Augusto Pinochet che è riuscito a raccogliere quasi l’otto per cento dei voti, ha invitato i suoi elettori a votare per Sebastián Piñera al secondo turno delle presidenziali. “Non chiediamo nulla in cambio”, ha giurato Kast.
Il buon risultato del candidato di estrema destra getta ombre sullo stato di salute della democrazia in Cile, governato dal 1973 al 1990 dal generale Augusto Pinochet, arrivato al potere dopo il golpe dell’11 settembre 1973 che portò alla deposizione del presidente Salvador Allende.
In un’intervista concessa a Bloomberg Kristina Mani, professoressa associata dell’Oberlin College, ha ricordato così gli anni del governo militare di Pinochet: “Negli anni della dittatura, dal 1973 al 1990, le forze governative condussero una repressione sistematica che ha ancora un peso nell’odierna società cilena. Contro ogni diritto civile e umano, quasi diecimila persone ‘sparirono’ (arrestate e mai rilasciate, con 2.279 omicidi accertati), 27mila furono torturate e altre 200mila condannate all’esilio.
E per i primi anni di governo democratico il generale Augusto Pinochet, tutelato dalla costituzione dopo la riforma da lui voluta, è rimasto alla guida dell’esercito, gettando un’ombra su tutti i leader politici eletti in quel periodo. Solo grazie all’istituzione di una commissione d’inchiesta e a testimonianze di documenti e persone si è arrivati a centinaia di condanne per crimini contro l’umanità.”
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